Il taxi si muoveva facendo lo stesso rumore di una pentola a pressione attraverso le strade deserte. A quell’ora erano gli unici in giro per la città addormentata. La macchina arrancò su per la collina e lo sguardo di Pietro fu attirato da un bagliore argentato oltre l’orizzonte; pensando che fosse la luna, il giovane seguì la luce con gli occhi, immerso nei suoi pensieri. Quando arrivarono in cima alla collina però, si accorse che non era affatto la luna, bensì un gigantesco glicine i cui rami carichi di fiori violacei a grappolo emanavano la luminescenza che aveva visto dalla base della collina.
“Ma…” riuscì solo a dire Pietro, spalancando gli occhi.
“Bello vero? Sono le Dame dei Fiori che iniziano il loro giro per gli alberi della città. Senza di loro, gli alberi non potrebbero fiorire in mezzo a tutto il cemento” disse il tassista, rispondendo alla domanda silenziosa del giovane.
Sotto il glicine, che si apriva ad ombrello sull’entrata di un giardino comunale, un trio di donne vestite con sgargianti kimono suonava strumenti che Pietro ricordava vagamente di aver visto in alcuni dipinti su tela della lontana Asia. Le donne stesse sembravano uscite da un dipinto, con le facce pitturate di bianco, gli occhi a mandorla delineati dal carboncino nero e i lunghi capelli raccolti in acconciature elaborate. Il taxi rallentò solo un poco davanti a quella scena che pareva strappata da un’epoca lontana.
“La più alta forma d’arte è la pittura, secondo antichi maestri, non è così artista?” chiese il tassista, facendo sobbalzare il giovane.
“Così hanno detto” disse Pietro.
“La pittura ha grandi proprietà di imprimere immagini, emozioni e sensazioni. La musica invece ha il dono di creare, curare e far crescere, come vedi da questa pianta” spiegò lo strano uomo, portando oltre il taxi e continuando la corsa.
“Stai parlando di magia?” chiese Pietro incredulo.
“Sto parlando di arte” disse il suo accompagnatore.
“Non capisco” disse il giovane.
“Troppe domande, troppi dubbi che ti legano alla realtà delle cose, amico mio. Lasciati andare a quello che vedi, sei un’artista. Non è quello che fai quando dipingi le tue lettere di fuoco?”
Pietro abbassò gli occhi pensieroso “Le mie lettere di fuoco non hanno nulla di magico, anzi…” disse a sé stesso.
Il taxi stava scendendo attraverso le strade medievali del centro della città. A Pietro sembrava che le luci dei lampioni venissero piano piano sostituite dalle luci tremolanti e baluginanti di lampade a gas; ma non poteva esserne sicuro, perché non ne aveva mai viste se non nei film. Non appena cercava di sporgersi per fissarle, il taxi passava oltre le luci, inoltrandosi in strade sempre più buie e strette. Arrivato in fondo ad una strada in cui sembrava passare a stento, il taxi si fermò e il conducente spense il trabiccolo.
“Siamo arrivati?” chiese Pietro perplesso.
“Dobbiamo proseguire a piedi da qui. Il taxi sarebbe inutile in ogni caso” disse il tassista, aprendo lo sportello cigolante e precedendo il suo ospite.
Pietro sbuffò per tirarsi su dal sedile polveroso, che intanto sembrava sprofondato col suo peso. La strada era larga abbastanza solo per aprire la portiera: vecchie mura di mattoni ingialliti di case alte la circondavano, ma nessuna porta. Le uniche direzioni percorribili erano indietro o avanti: davanti a loro, l’ultimo lampione della strada dava su un vicolo stretto e completamente immerso nel buio.
Pietro sentì drizzarsi i capelli sulla nuca: il buio del vicolo era quasi totale e dei gradini scendevano verso il basso sprofondando nel nulla. Il tassista si avviò verso di essi, le mani in tasca e il passo dondolante.
“Niente paura, gli scalini non sono alti” disse immergendosi nell’ombra.
Pietro lo seguì, i sensi tesi per seguire i passi della sua guida. Il vicolo odorava di muschio e di acqua e il giovane riusciva solo a sentire i loro passi ovattati sui gradini di pietra bassi. Lentamente Pietro si rese conto che i suoi occhi cominciavano a percepire una fioca luce che gli permetteva di distinguere la schiena del suo compagno che camminava davanti a lui. La luce proveniva da un arco che si apriva nel muro sulla destra. Con gli ultimi tre gradini più ripidi, i due si trovarono direttamente davanti all’arco, chiuso da un pesante cancello di ferro battuto.
Oltre il cancello finemente decorato da foglie e fiori di ferro, Pietro vide che erano arrivati sulla riva del fiume della città. Il fiume era calmo e una lieve nebbia aleggiava sulla riva opposta, così che il fiume sembrava più ampio, quasi un lago.
“Eccoci, ora puoi usarla” disse il tassista.
“Cosa?” fece il giovane, ma poi capì: tirò fuori la vecchia chiave dalla tasca e la infilò nella serratura nel cancello.
Non appena ebbe aperto il cancello, Pietro sentì una folata di vento passargli accanto ed entrare prima di loro attraverso il cancello.
“Bene! Lascia il cancello accostato, ne arriveranno altri” disse il tassista andando verso la riva.
“Altri?”
“Altri viaggiatori. Forza, il nostro passaggio è quasi arrivato” aggiunse il tassista.
Pietro lasciò il cancello accostato, come gli era stato detto e seguì la sua guida verso un piccolo molo di legno che si sporgeva sul fiume.
“Vuoi dire che stiamo andando dall’altra parte con una barca?” chiese.
Il tassista scosse la testa sorridendo sotto i baffi. Indicando verso l’acqua disse “Meglio! Cavalcheremo sul fiume, è il modo migliore per attraversarlo”.
Seguendo il suo sguardo, Pietro sobbalzò: delle ombre giganti e sgraziate si avvicinavano sull’acqua. Gli animali sembravano un brutto incrocio tra diverse specie di animali: lunghe zampe artigliate affondavano nell’acqua, sormontate da corpi callosi e rigonfi come quelli di elefanti. Le teste avevano una lunga proboscide che lambiva l’acqua, ma le orecchie sembravano rotonde e pelose come quelle di un koala.
“Ma che razza di roba è quella?!” fece Pietro
Il tassista buttò la testa indietro con una gran risata. A Pietro sembrò di intravedere dei piccoli canini aguzzi brillare tra le labbra dell’uomo nella poca luce riflessa sul fiume.
“Forti vero? Ognuno li vede leggermente diversi, ma in sostanza sono solo le migliori cavalcature per l’Altrove che siano mai esistite” disse.
“Per l’Altrove? Ma allora…” disse Pietro guardando le creature avanzare verso il molo dove si trovavano.
“Vuoi dirmi che dall’altra parte non c’è il quartiere nord della città?”
“Si…e no. Dipende da come e quando si attraversa il fiume vedi” spiegò il suo strano compagno.
“Dimmi una cosa: sono morto forse?” chiese Pietro.
Per tutta risposta, il tassista alzò gli occhi al cielo e pestò un piede al giovane. Pietro urlò di sorpresa e di dolore e fece un paio di saltelli sul posto imprecando.
“Perché cavolo lo hai fatto?!” disse al tassista, meditando di assestargli un pugno su quella smorfia felina che aveva in faccia.
“Il dolore è sempre e solo per i vivi. Ha fatto male giusto?” fece questi.
“Già!” disse Pietro, offeso.
“Rallegrati amico! Sei ancora vivo. Pronto per attraversare il fiume?”
I mostri erano arrivati al molo: erano molto più alti di quello che Pietro aveva pensato quando li aveva visti al centro del fiume.
“D’accordo Virgilio dei miei stivali…ma prometti che torneremo a veder le stelle alla fine?” disse il giovane.
Il tassista sorrise, i denti aguzzi di nuovo visibili per un istante “Non smetteranno mai di guidarci!”
Pietro guardò il cielo e vide che era vero, le stelle brillavano deboli ma rassicuranti. Una delle bestie porse la lunga proboscide al tassista e questi vi mise sopra il piede, lasciandosi issare agilmente sulla groppa. Pietro tentò di fare lo stesso ma, evidentemente non avvezzo a montare degli elefanti con zampe di airone e orecchie pelose, perse l’equilibrio scivolando verso l’acqua. Prima che fosse troppo tardi, la bestia lo afferrò per il torso e lo issò saldamente in groppa.
“Ehi stai attento! Se c’è una cosa che non devi mai fare qui è toccare il fiume!” lo rimproverò il tassista.
“Grazie tante di avermi avvertito…Dopo che sono quasi caduto!” protestò Pietro. Si trovava seduto su una comoda sella di pelle con una forma quasi a poltrona, da cui poteva vedere il molo, il cancello semiaperto da dove erano entrati e le case della città vecchia dove, da qualche parte, era parcheggiato il taxi.
Senza bisogno di comandi da parte loro, le creature si mossero lentamente per riattraversare il fiume.
“Cosa mi sarebbe successo se fossi caduto nel fiume? Sono un bravo nuotatore sai, so cavarmela bene in acqua. Adoro nuotare in mare anche quando è mosso” disse Pietro.
“Non si può nuotare in queste acque. Saresti stato perso per stanotte, o chissà per quanto” disse il tassista, con tono che non ammetteva repliche.
La sagoma di un ponte di pietra affiorava appena alla loro destra, oltre la nebbia che s’infittiva sull’acqua, mentre le bizzarre cavalcature procedevano lente e sicure verso la sponda nascosta.
“Anche Alice dunque ha fatto questa esperienza…mistica?” chiese Pietro, cercando di schiarirsi le idee per tutte le cose impossibili che gli stavano succedendo e che piano piano stava cominciando semplicemente ad accettare.
“Anche Alice. Ma lei sta facendo un viaggio diverso” disse il tassista.
“Diverso come?”
L’uomo si strinse nelle spalle “Lei è vecchia, fin dalla prima volta che ha varcato la soglia dell’arco non ha avuto molte esitazioni. Quando si è vecchi nulla sembra più così bizzarro da essere inaccettabile. Tu invece” aggiunse guardandolo scettico “tu sei giovane e fai ancora fatica a liberarti dalle catene della realtà di tutti i giorni”
“Ma quando dipingo io…” iniziò a protestare Pietro.
“Quando dipingi riesci a percepire la soglia dell’arco, ma non sei ancora riuscito ad oltrepassarla. Fino ad ora” lo corresse il tassista.
Pietro tornò silenzioso: mille domande gli turbinavano in testa ma a poco a poco si lasciò cullare dal fruscio dell’acqua provocato dalle loro cavalcature.
“Se ti stai ancora lambiccando il cervello, lascia stare. Siamo arrivati” sentì dire il suo compagno e alzando lo sguardo vide che era vero.
La riva opposta del fiume affiorava dalla nebbia.
Fine Seconda Parte