Storie brevi

Parte III: Il gigante dalle quattro facce

Come aveva previsto il mago, per il topolino di campagna Guillaume, fu facilissimo trovare un passaggio tra la roccia che bloccava l’entrata e l’entrata stessa. Il topo si ritrovó in una caverna che si allungava come una gola di pietra dentro la roccia della collina. Il corridoio era fiocamente illuminato solo da una luce che riverberava dal fondo della caverna; sembrava che il gigante tenesse un fuoco acceso dentro il suo rifugio.

Guillaume il topo avanzó silenzioso lungo la parete della caverna, fino a quando non raggiunse il cuore del rifugio del gigante: qui la caverna si allargava in un’ampia camera illuminata in un angolo da un fuoco di legna e dall’altro dalla luce che scendeva da un’apertura naturale sul soffitto, da cui usciva il fumo del fuoco. Al centro della caverna stava un tavolo di legno grossolano, formato da un ciocco di legno con una tavola poggiata sopra. Su questa stavano un secchio, che faceva da tazza per il gigante, e un calderone, che usava per cucinare sul fuoco.

Il topo aguzzó la vista coi suoi occhietti a spillo e vide l’ombra del gigante che stava rannicchiato in un angolo buio della caverna, sopra quello che sembrava un giaciglio di pelli di pecora e orso.

Il topo rabbrividí al ricordo doloroso di come era stato agguantato dal gigante nella sua foga di divorare gli animali che lui, Guillaume, doveva sorvegliare. Ebbe quasi la tentazione di tornare di corsa dal mago e dirgli che il gigante era morto, pur di andarsene da quel posto. Mentre stava pensando ad una scusa per andarsene, il gigante si agitó sul suo giaciglio e il topo vide che la faccia che era rivolta verso il centro della stanza apriva gli occhi e li strabuzzava in ogni direzione. Con il cuoricino che batteva all’impazzata dalla paura, il topo si rifugió all’ombra del ciocco di legno che faceva da unico supporto per il tavolo del gigante.

“Aaaargh!” si lamentó il gigante, con tutte le sue quattro teste.

“Oh che mal di testa tremendo!”

“È il nostro mal di testa anche!”

“Maledetto mago!”

“State un po’ zitti tutti quanti!”

Protestarono le quattro faccie del gigante, parlandosi addosso.

“Stare zitti? Dovreste anche smettere di pensare perché possiamo liberarci di questo dolore! Ooooowh!”

“Smetti tu di pensare, sei sempre stato quello senza cervello!”

Continuavano.

“Maledetto! Come osi!”

“Ahahah! Certo: eri tu quello stupido che voleva mangiarsi quell’uomo!”

Il topo Guillaume sobbalzó da sotto il tavolo, sentendo che parlavano di lui.

“E allora? Colpa sua se si trovava ancora nella stalla con gli animali anziché essere corso a rintanarsi come tutti gli altri” tuonó la faccia interpellata.

“Se non avessi afferrato quel ragazzo, il mago forse non ci avrebbe colpito con la sua maledizione del mal di testa!”

“È vero!”

Il topo Guillaume si arrampicó in cima al tavolo e squittendo furiosamente contro il gigante disse: “Siete tutti degli stolti!”

Il gigante poteva essere grosso e tutte le sue voci erano roche e profonde come il gorgoglio dell’acqua sotto un ponte, ma aveva quattro paia di orecchie finissime.

“Chi ha parlato?” gridó con tutte le sue bocche, mettendosi in piedi.

Il topo si tappó le sue orecchie sensibili a quel frastuono. Cosa gli era venuto in mente di rivolgersi a quel mostro? Si nascose di corsa dietro al secchio di metallo che stava sul tavolo.

“Perché volevi mangiare il povero guardiano della stalla?” chiese al gigante, i cui otto occhi cercavano in ogni direzione.

“Non volevamo mangiare il guardiano, noi non mangiamo esseri umani”

“Giá, è stato un incidente”

“Lo avevamo scambiato per una pecora”

“Che razza di pecora chiede pietá?!” disse il topo Guillaume.

“Tutte! Tutti gli animali invocano pietá prima che li mangiamo, ma dovremo pur nutrirci in qualche modo!” rispose una delle facce.

“Per questo abbiamo eretto un altare di ringraziamento per tutti gli animali che si sono lasciati mangiare” disse un’altra.

Il topo notó una nicchia vicino al fuoco, a forma di piccola casetta con degli animali intagliati di legno dentro.

“E che mi dici dei topi? Mangi anche quelli?” chiese Guillaume.

Il gigante rise, ma poi si prese la testa fra le mani come in preda ad un terribile dolore; tutte e quattro le facce erano contorte in smorfie di sofferenza.

“Cosa ce ne faremmo di topi? Sono troppo piccoli e non conterebbero neanche come spuntino” rispose il gigante.

A quella risposta, il topo prese coraggio e uscí dal suo nascondiglio dietro il secchio. Il gigante lo vide con una delle sue facce e fissó gli occhi su di lui.

“E poi i topi ci fanno paura” disse

“Che assurditá!” rise Guillaume.

Il gigante sobbalzó nel constatare che era stato proprio il piccolo topolino a parlare.

“Come fai ad avere paura di un topo cosí piccolo?” fece questi.

“Perché…” cominció una delle facce, ma subito venne zittita da un’altra.

“Imbecille! Non dargli idee!”

“È vero! Stai zitto! Ora che sa che i topi ci fanno paura potrebbe giá volerci spaventare!”

Guillaume pensó che se veramente il gigante aveva paura dei topi, tanto valeva giocarsi quella carta.

“Io non voglio farti paura gigante, ma se tenterai di farmi del male m’infileró giú per la tua gola e ti soffocheró! Sono piccolo e veloce e non riusciresti a prendermi” squittí piú minacciosamente che poté.

Il gigante si ammutolí chiudendo tutte e quattro le bocche e coprendone almeno due con le mani.

“Dunque” disse il topo “Da dove vieni e perché tormenti la nostra…ehm cioè la cittá sul fiume?”

Il gigante si lasció sedere sconsolato sul giaciglio di pelli.

“Noi non lo sappiamo, non lo ricordiamo”

“Prima che il mago ci facesse venire questo tremendo mal di testa noi eravamo una cosa sola, una sola mente, una sola volontá”

“Ma ora sentiamo tutti i pensieri e i sentimenti degli altri e questo ci confonde, ci fa soffrire”

“Prima eravamo nel caos puro, ma adesso questo nuovo ordine non ci fa essere come prima”

Dissero le facce del gigante.

“Quindi non sai neanche da dove vieni? Non sai chi ti ha creato né perché?” squittí i topo Guillaume.

Il gigante scuoteva la grossa testa a quattro facce.

“Perché tu hai la risposta a queste domande, topo?”

“Io non sono…cioè in parte sí” rispose, correggendosi per non far scoprire al gigante di non essere in realtá un topo.

“Io ho una madre che mi ha messo al mondo, insieme ai miei fratelli e sorelle topi…Ma molti sono dovuti fuggire perché tu non fai altro che attaccare la cittá dove viviamo. Perché lo fai?”

Il gigante fece spallucce, “Per fame piú che altro”

“Ma il perché proprio questa cittá non ce lo chiedere”

“Ti abbiamo giá detto che non ricordiamo da dove veniamo né perché”

Il gigante dalle quattro facce si dondolava sul giaciglio spartano stringendosi le spalle come se fosse in preda alle febbri. Il topo Guillaume decise che vista la paura del gigante per i topi, poteva anche rischiare di avvicinarsi a quella misera creatura. Scese dal tavolo e andó ad arrampicarsi in cima allo sgabello che stava poco piú in lá del giaciglio del gigante.

“Sei in pena gigante?” chiese.

“Si” rispose questi con le sue quattro bocche “Il mago ci ha fatto un incantesimo per farci soffrire e forse morire!”

“Bhe lo ha fatto per proteggere la povera cittá che tu assali ogni notte! Non hai mai pensato di comportarti in maniera civile per una volta?”

“Come?” chiese il gigante.

“Ad esempio se non provocassi tanti guai e ti mettessi al servizio della cittá per difenderla, la cittá ti accoglierebbe come suo paladino!” squittí il topo.

“Mmh davvero?” fece dubbioso il gigante.

“Ma certo! Sai” aggiunse il topo, a cui stava venendo un’idea per risolvere tutta quella situazione “io conosco bene il mago che ti ha fatto quell’incantesimo. Non è una cattiva persona, stava solo cercando di aiutare la cittá”

Il gigante lo ascoltava facendo ora smorfie di dolore, ora di sorpresa quando scoprí che il piccolo topo conosceva il mago.

“Se tu acconsentissi a riparare almeno la breccia nelle mura di difesa che hai creato inciampandoci sopra, sono sicuro che la cittá e i suoi abitanti te ne sarebbero grati e il mio amico mago potrebbe acconsentire a curarti dal tuo mal di testa” concluse il topo Guillaume.

Il gigante dalle quattro facce rimase in silenzio per un momento, riflettendo sulla proposta che il topo gli faceva.

“Se, ma, protrebbe…”

“Parli bene tu, topo”

“Ma chi ci dice che il mago farebbe davvero come tu dici?”

“Lascia fare a me” disse il topo, agitando i lunghi baffi con l’aria di chi ha un piano.

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