Storie brevi

Parte II: Il gigante dalle quattro facce

Il topo cadeva dentro la tasca del mago e giá si era dimenticato che quella fosse solo una tasca. Le pareti non erano di stoffa, anzi, non sembravano affatto pareti: sembrava che il topo stesse cadendo attraverso un cielo stellato che ora mutava dal blu scuro della notte al rosso fiammeggiante del tramonto al rosa dorato dell’alba. Il topo avrebbe dovuto meravigliarsi di un tale prodigio, se non fosse stato terrorizzato dal fatto che stava cadendo in quello che sembrava uno spazio infinito.

All’improvviso, la sua caduta parve rallentare, come se la gravitá non avesse piú effetto. Il topo vide che un oggetto luccicante si avvicinava nello spazio davanti a lui: era lo specchio del mago. Il topo lo raggiunse e vi si aggrappó per avere una parvenza di soliditá; lo specchio era poco piú grande e lo sorreggeva come una piccola zattera nell’infinito.

Il topo guardó il suo riflesso nella superficie dello specchio e si trovó davanti il volto di un giovane uomo molto spaventato: il topo infatti era quel guardiano di stalla che aveva rischiato di essere divorato dal gigante a quattro facce e che il mago aveva salvato trasformando in un topolino.

Il giovane si contempló prima nello specchio, poi osservó le zampette pelose del topo che era diventato. Sospiró sconsolato.

“Maledetto gigante! Maledetto mago!” squittí, graffiando lo specchio con i piccoli artigli.

“E’ questo il tuo modo di salvarmi dal gigante? Trasformandomi in questa bestia schifosa?”

“Non essere cosí arrabbiato, non sei affatto ripugnante in questo stato. Anzi” rispose una voce con un’eco lontana.

Prima che il topo avesse la possibilitá di capire cosa stava succedendo, vide una mano enorme spuntare dall’alto e prenderlo per la coda e cominció a squittire di paura.

Il mago tiró fuori il topo dalla sua tasca magica e lo depose delicatamente sul palmo della mano, dove il topolino di campagna entrava perfettamente. Ancora sulla difensiva, il topo affondó i denti nell’indice del mago.

“Ah brutto…!” esclamó questi, ma non lo lasció andare, per fortuna del topo.

“Bel modo che hai per ringraziare chi ti ha salvato quella pellaccia pelosa!”

“Bel modo di salvarmi! Trasformarmi per sempre in una bestiola! La mia vecchia me lo diceva che non ci si puó fidare dei maghi!” squittí di rimando il topo.

“Sempre meglio che venire divorato da un gigante mostruoso, no?” disse il mago.

Il topo si guardó intorno per la prima volta e vide che erano immersi in una fitta boscaglia.

“Dove siamo?” chiese il topo.

“Fuori dalla caverna del gigante” Rispose il mago, posando il topo sul ginocchio mentre rovistava nelle sue tasche.

Il topo rabbrividí “Cosa?! Perché hai seguito quel mostro? Credevo che lo avessi sconfitto con il tuo incantesimo”

“Oh no, non è affatto sconfitto” sbuffó il mago, tirando fuori il suo specchio magico.

“Argh!” esclamó con orrore, vedendo che il prezioso vetro era tutto graffiato.

“Cosa sarebbe questo?!” fece al topo, indicando i graffi provocati dalle sue zampe.

“Ehi come facevo io a sapere che tieni un universo nelle tue tasche? È difficile navigare laggiú amico!” si difese il topo.

“Questo specchio mi era stato donato dal maestro vetraio di Venezia e incantato da lui in persona! Non ce ne sono altri cosí al mondo!” disse il mago piagnucolando.

“Ma a cosa ti serviva?” chiese il topo.

“Serve a vedere quello che vuoi! Ma funziona solo a breve distanza, ecco perché ho seguito il gigante: volevo accertarmi degli effetti del mio incantesimo improvvisato su di lui. Eh adesso come faccio…” spiegó il mago.

Il topo si drizzó sulle zampe posteriori e annusó l’odore del mago esasperato.

“Mi dispiace. Senti perché non facciamo un accordo? Io ti aiuto a spiare il gigante e tu mi farai tornare uomo” propose.

L’idea di doversi avvicinare ancora una volta al gigante lo faceva tremare di paura, ma non aveva altra scelta ora che il mago lo aveva salvato e lui in cambio gli aveva rovinato lo specchio magico.

“Tu? Spiare il gigante?” fece incerto il mago. “Ne saresti capace?”

“Ma certo! Sono un topo, un piccolissimo insignificante topolino. Non si accorgerà mai della mia presenza” squittí il topo. “Quando torneró con le informazioni sul gigante, tu mi farai tornare umano, intesi?”

“Non ho niente da perderci. Accetto” disse.

Il mago spiegó al topo come raggiungere il rifugio del gigante: questi si era infilato in una caverna che si apriva sul lato della collina e aveva piazzato un grosso masso davanti all’entrata. A quel modo, la caverna era inaccessibile agli uomini, e quasi impossibile da individuare nel folto della foresta. Per il piccolo topo non sarebbe stato un problema trovare una fenditura tra la roccia che bloccava il passaggio e l’entrata della caverna. Il mago istruí il topo sul non farsi mai vedere dal gigante e ad osservare il suo comportamento per un po’. Infine, lo avrebbe raggiunto prima del tramonto per riferirgli quanto aveva appreso.

Il topo fece per accomiatarsi dal mago; aveva fatto pochi saltelli nelle foglie cadute quando si fermó e si giró verso il mago.

“Un ultima cosa: se non dovessi tornare, ti prego di andare a cercare mia madre in cittá e di dirle che sono partito per sempre, che sono felice e di non preoccuparsi” squittí il topo.

Il mago annuí sollenne “E come devo chiamarti piccolo eroe?”

“Dille che ti manda il suo Guillaume” disse il topo.

Senza aspettare la risposta del mago, con un groppo alla gola dalla paura, il topo Guillaume si allontanó verso la grotta del gigante a quattro facce.

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