Approdo italiano
Dicono che i sentieri della vita siano imprevedibili e infiniti, ed io lo posso confermare. A 14 anni non mi sarei mai immaginata di cambiare, casa, nazione, vita, eppure è successo. La nostra casa era in fermento da qualche mese ormai, in anticipo della partenza di mia madre e me: ci saremmo trasferite in Italia. Io dell’Italia non sapevo niente se non quello che ci avevano insegnato a scuola e quel poco che potevo vedere nei film che arrivavano sulla nostra TV, con qualche sottotilo male interpretato.
La mamma era giá stata per un lungo periodo in Italia, a sondare il terreno come diceva lei. Ci si era trovata talmente bene, che aveva ritrovato l’amore, cosa che mi rendeva molto felice ma anche un po’ nervosa, visto che non avevo mai avuto un padre. Adesso che la sua vita in Italia aveva preso la piega giusta, aveva deciso di portarsi dietro anche me: non poteva certo separarsi dalla sua adorata figlia per troppo tempo.
Mamma decise che saremmo partite una mattina di gennaio con un pullman che ci avrebbe portate in un viaggio di una settimana fino alla nostra ultima destinazione: Napoli. Tutti i bagagli piú pesanti erano stati spediti via posta e probabilmente sarebbero arrivati dopo di noi, nonostante il viaggio della speranza che ci si prospettava. “Lascia stare i vestiti piú pesanti Nana, in Italia non è freddo come da noi” aveva detto la mamma, insistendo perché mi vestissi a strati, ma piú leggera in previsione del clima napoletano.
Alle cinque di mattina di quel giorno di gennaio c’erano -30 gradi fuori, la neve alta fino alle ginocchia e il buio si poteva quasi tagliare con un coltello da quanto era fitto. Con il mio piumino e le scarpe da tennis tremavo dalla testa ai piedi, saltellando e muovendomi a scatti per tenermi sveglia e scaldarmi. Non appena ci fummo sistemate sul pullman con il riscaldamento acceso, la mamma tiró fuori un termos di brodo caldo e lo bevvi quasi ustionandomi la lingua. Una volta partiti mi addormentai profondamente, vinta dalla stanchezza e dal tepore lasciato dal brodo nella mia pancia.
Il viaggio era davvero lungo e scomodo: l’autista si fermava quattro volte al giorno per farci scendere nelle aree di servizio, sgranchirci e andare in bagno. Il signor Nicolaj, l’autista, era un omone con una pancia enorme, due baffi come ciuffi di una scopa e una risata nasale che mi ricordava molto i trichechi che avevo visto nei documentari a scuola. Visto che ero l’unica bambina sul suo pullman mi aveva subito presa in simpatia: mi sedevo sul sedile accanto a lui e giocavamo a chi contava piú macchine blu o rosse, a volte mi chiedeva di cantargli qualcosa visto che ero molto brava e studiavo come cantante; la sera invece, prima di addormentarmi accanto alla mamma, cercavamo di scorgere gli animali selvatici che potevano spuntare tra gli alberi a fianco della strada.
Piú ci avvicinavamo alla prima frontiera, piú la mamma si faceva preoccupata. “Nana mi raccomando: devi essere brava e precisa e rispondere bene alle domande della guardia. Non devi sbagliare, sennó ci faranno tornare indietro!”. Si mamma, tranquilla che non sbaglieró niente, avevo promesso. Arrivati alla dogana, gli ufficiali ci fecero scendere tutti dal pullman per ispezionare il portabagagli e farci alcune domande sul nostro itinerario. Una signora in divisa con l’aria severa accolse me e mia mamma nell’ufficio della dogana.
“Prego sedetevi” disse addolcendosi alla vista di una ragazzina coi capelli biondi e le guance rosse di timidezza. Esaminó il passaporto della mamma, e rivolgendosi a me mi chiese conferma di chi fossi, la mia data di nascita e con chi stessi viaggiando.
“Con la mia mamma” dissi indicando mia madre a fianco a me.
“Ah si? E come si chiama la mamma?” chiese la guardia.
Facile! Il nome della mamma lo sapevo benissimo.
“E quando è nata?” aggiunse la guardia.
La mia mente inciampó in un gradino di memoria: panico! Mi ricordavo bene il giorno di compleanno della mamma, ma non l’anno di nascita. Nel giro di pochi secondi mi feci rossa come un peperone, occhi sgranati chiedendo aiuto alla mamma che mi guardó sbalordita. “Insomma! Neanche la data di nascita di tua madre ti ricordi! Che vergogna!” saltó su la mamma, facendo sobbalzare anche l’ufficiale della dogana nella sua sedia. Cercando di rimediare al guaio in cui mi aveva cacciata, la guardia richiuse i documenti e tranquillizzó mia madre dicendo che era tutto a posto e potevamo tornare sul pullman.
Con i lucciconi e il naso che mi colava tornai al mio posto e mi scusai con la mamma che nel frattempo si era tranquillizzata. “Oh Nana come sei pasticciona! Se non sai la data di nascita di tua madre devi chiedere, altrimenti non saprai mai quante candele mettere sulla torta di compleanno!” disse la mamma, passandomi un fazzoletto e baciandomi le guance arrossate dalla vergogna. Prima di ripartire, la guardia che ci aveva interrogate salí a bordo e trovandoci riappacificate fece un gran sorriso e mi regaló una stecca di cioccolato.
I viaggi in pullman non solo sono lunghi e scomodi ma anche noiosi e stancanti: dopo una notte passata a viaggiare in strada, ci fermavamo in un’area sosta per la colazione, mentre l’autista invece faceva un riposo di qualche ora. Mano a mano che ci avvicinavamo all’Italia, vedevamo il paesaggio cambiare: dalle nostre pianure sconfinate e le foreste fitte e selvagge dell’Est, alle strade dritte ed i paesaggi montagnosi dell’Austria. Il gelo del nostro paese si era allontanato per un inverno che ci sembrava piú mite, a dispetto di come la pensavano gli austriaci infagottati e incappucciati.
Arrivammo alla dogana in Italia durante la notte, dopo una lunghissima coda che aveva fatto spazientire il povero Nicolaj che avrebbe tanto voluto fermarsi a riposare. Questa volta la mamma mi aveva istruita per bene, provando le possibili domande dei doganieri in anticipo. Dopo un tempo che ci parve infinito, arrivó il nostro turno d’ispezione. Era notte fonda ed ero stanca come solo dopo un viaggio interminabile; la mamma mi guardó rassegnata e mi disse di rimanere sul pullman finché non fosse arrivato il nostro turno per l’ispezione passaporti. Mi sistemai lunga distesa sui sedili dietro che erano stati arricchiti di cuscini e coperte varie e che venivano usati a turno da chi era stanco di dormire seduto nelle poltroncine.
Non ricordo nulla di come siamo passati dalla frontiera; la mamma mi ha raccontato che quando i doganieri hanno aperto il vano bagagli dietro il pullman, hanno intravisto me che dormivo pacificamente nei sedili posteriori. Anche i doganieri hanno un cuore e commossi dalla visione di quella che poteva essere la loro figlia o nipote che dormiva esausta, ci avevano lasciati passare con un brevissimo controllo.
La prima volta che ci fermammo in Italia fu a Roma: scendemmo alla stazione del treno mentre nevicava. La cittá mi parve ancora piú bella sotto la neve, che non era fredda come quella che mi ero lasciata alle spalle, né ghiacciava il viso quando cadeva, ma era leggera come piume d’oca svolazzanti nell’aria. Piú ci avvicinavamo a Napoli, piú sentivo crescere la tensione: avrei conosciuto il nuovo compagno della mamma, come sarebbe stato? gli sarei piaciuta o mi avrebbe trattata come un’estranea? Il mio cuore batteva all’impazzata quando scendemmo alla stazione dei pullman a Napoli, una settimana dopo la nostra partenza.
Antonio ci accolse con un gran sorriso e abbracciando forte la mamma; dopo aver caricato le valige sulla macchina mi disse “Andiamo a casa Nana, sei pronta? Ho una sorpresa per te appena arriviamo”. La sorpresa era una camera nuova completamente arredata per me, piena di giochi e materiale nuovo per la scuola. Ero cosí sorpresa che non riuscii a trattenere le lacrime. Quella sera uscimmo a fare una passeggiata sul lungo mare che luccicava per le luminarie di Natale che decoravano ancora le strade.
Antonio ci portó ad un parco giochi itinerante e mi disse che potevo scegliere qualunque giocattolo mi piacesse da portare a casa: io mi impuntai su una papera gialla gigante di peluches. “Nana è piú grande di te! Scegli qualcos’altro” rise la mamma. Eh no, io volevo proprio quella papera che mi somigliava tanto. Sono passati tanti anni, ho vissuto tante avventure e la piccola Nana trottola di un tempo non c’è piú. Eppure, porto tutto nel mio cuore: gli anni passati con la nonna e la mamma, il viaggio verso l’Italia e l’accoglienza di papá Antonio.