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Gli umani del centro di recupero animali selvatici, chiamavano l’orso Tocco: un po’ perché era un animale cocciuto, un po’ perché era robusto. Quando Tocco arrivó al centro veterinario, aveva la zampa posteriore destra rotta, varie costole incrinate e diverse brutte ferite sul resto del corpo. I medici lo rattopparono come potevano, e lo tennero chiuso per un mese in una stanza che aveva una piccola uscita con un recinto esterno. Tocco odiava quel posto: era piccolo, puzzolente e scomodo. Peró il giovane orso scoprí una cosa strana: poteva capire tutto quello che gli umani intorno a lui dicevano nella loro strana lingua. La lingua umana é molto simile a quella degli uccelli: emettono tantissimi suoni nel giro di poco tempo, ogni suono per loro ha un significato, come il canto dei merli del sottobosco, o delle rondini giocose. Tocco sospettava che l’incontro con gli spiriti del cimitero, c’entrasse qualcosa con la sua nuova capacitá di capire gli umani. Quello, o lo spavento provocato la notte dei fuochi d’artificio o il trauma della rovinosa caduta dal fianco della montagna.
Conoscere la lingua degli umani presentava molti vantaggi: innanzitutto Tocco sapeva sempre cosa volevano fargli, visto che ne parlavano tra di loro di fronte a lui e a volte a lui in persona. Capirli, permise a Tocco di esserne meno spaventato e ció permise loro di curarlo come meglio credevano: Tocco non sapeva bene perché si fidava di loro per la sua salute, ma non sembravano cattivi e se lui fosse riuscito a guarire del tutto, loro lo avrebbero rimesso in libertá sulla montagna. Passarono diversi mesi, e con l’inverno ormai alle porte gli umani si divisero: chi diceva che avrebbero dovuto liberare Tocco prima della stagione del letargo, cosí da farlo addormentare e risvegliare nel suo ambiente naturale; chi invece credeva che fosse troppo presto per lasciare andare l’orso. Tocco non stava piú nella pelle per essere liberato dalla sua prigionia forzata e cercó di mangiare il piú possibile, conservare le energie finché poteva, prima di poter ritrovare la sua amata tana. Vedendo che Tocco si muoveva normalmente e che si comportava come se si stesse preparando per andare effettivamente in letargo, gli uomini del centro veterinario si decisero a liberarlo sulle montagne. Il giorno della liberazione, Tocco fremeva, ma si costrinse a stare calmo e ad accettare di essere sedato e messo in una scatola di legno chiusa e buia: l’odore del legno della scatola ricordó all’orso che stava tornando a casa e cosí, si addormentó felice sotto l’effetto del sedativo.
“Okay, al tre scoperchiamo la pentola!” disse Vito, il guardia-boschi anziano al suo compagno.
Tocco aspettó paziente dentro la cassa.
“Uno…due…”
Tre.
Tocco fu abbagliato per un attimo dalla luce che entró di colpo dall’esterno, ma non esitó piú di tanto e si lanció fuori. Fece una piccola corsa in avanti, non troppo veloce perché la sua gamba rotta era ancora fragile sotto il suo peso. Sentiva i due guardiani dietro di lui incitarlo ad andare, con urla e movimenti ampi delle braccia. Quando si fu allontanato abbastanza, Tocco rallentó al limitare di un boschetto di giovani faggi; si fermó a guardare i due vicino alla jeep parcheggiata nella radura. Si giró mettendosi con cautela sulle zampe posteriori e agitó la zampa come a salutarli, emettendo un lungo suono rauco dal fondo della gola.
I due lo guardarono sbalorditi; Tocco se la rise con uno sbuffo nasale e si addentró nel bosco.
Ritrovare la sua vecchia tana fu facile, le sue tracce erano ancora sparse per il bosco e il suo odore era ancora nella tana. L’orso si prese tutto il tempo di grattarsi sui tronchi di riferimento, fare le sue firme nella corteccia con gli artigli e mangiarsi dei cardi e delle bacche ancora in circolazione. Visto l’avvicinarsi dell’inverno, Tocco si preparó per il letargo che avrebbe dato il tempo al suo corpo di riadattarsi alla natura e di guarire completamente dai traumi fisici che aveva sofferto. L’inverno sulle montagne era breve ma intenso: gli alberi si spogliavano delle loro foglie, l’erba umida e i fiori fragranti lasciavano il posto alla terra brulla e alla neve. Molti altri animali andavano nel sonno invernale come Tocco: serpenti e lucertole, istrici, scoiattoli e le cicale il cui sonno era lungo anni. La montagna poteva ululare coi suoi venti gelidi, sospirare di enormi silenzi durante le nevicate o cantare di piogge sulle rocce tintinnanti, usate dai paesani per fare le campane; l’orso e gli altri animali dormivano nel tepore della terra, svegliandosi solo brevemente per mangiare le bacche o le radici che avevano accumulato saggiamente.
Quando finisce veramente l’inverno? In molti paesi si guarda all’arrivo di uccelli che viaggiano inseguendo le primavere del mondo per capirlo: rondini, anatre, cicogne. Altri, piú saggiamente, guardano al cambiamento d’abito delle piante: i primi boccioli che si schiudono, i primi fiori che spuntano dalla terra. Queste cose valgono forse per gli umani, ma gli altri animali, quelli delle foreste, come sanno quando l’inverno é veramente finito? Anche loro seguono vari segnali, ognuno i propri. Tocco seguiva le api: sua madre gli aveva insegnato che se avesse osservato delle api volare vicino la sua tana per piú di un giorno, allora avrebbe potuto uscire dal suo letargo. Quando Tocco vide le piccole api industriose zigzagare tra gli alberi vicino la tana per sette giorni di fila, si decise ad uscire per esplorare cosa aveva portato la primavera. La sua gamba non faceva piú male, ma aveva acquistato un’andatura leggermente zoppicante; a Tocco non importava, ció che gli premeva ora era trovarsi da mangiare. Le montagne erano sempre al loro meglio in primavera, sembravano meno solitarie: tutto friniva, cinguettava, frusciava, sussurrava. Bianche nuvole passavano veloci nel cielo azzurro sopra le vette canute.
Tocco non si era dimenticato degli spiriti degli umani che lo avevano aiutato, perció dopo qualche giorno di banchetti a base di frutti selvatici, germogli, lumache e radici, si sentí abbastanza in forze per andare a visitare il cimitero del piccolo paese. Al tramonto di un giorno piovoso, raccolse dei fiori di campo e andó al cimitero; conoscendo la lingua degli uomini, ora capiva anche alcune delle loro usanze, quindi da orso educato, non aveva intenzione di presentarsi a mani vuote davanti a chi lo aveva salvato. Il cimitero era sempre uguale, circondato da mura di pietra e avvolto nel silenzio; nell’oscuritá del crepuscolo, Tocco controlló accuratamente che non ci fossero umani in visita alle tombe, o macchine che passavano davanti al cancello di ferro. Il cancello era chiuso con una catena senza lucchetto, cosí che rimanesse accostato ma che tutti potessero entrare. Nel caso dell’orso, rimuovere la catena sarebbe stato difficile, viste le sue grandi e goffe zampe e l’assenza di pollici opponibili. Cosi, Tocco si sedette davanti al cancello, e lo scosse leggermente.
Il rumore del cancello attiró l’attenzione dello spirito di un giovanotto che sedeva accanto alla sua vecchia croce di legno, una delle tombe interrate piú vecchie del cimitero e le cui scritte si erano consumate, illeggibili nel legno invecchiato. Il giovanotto si sporse per vedere chi bussava al cancello e fu sorpreso di vedere un orso con dei fiori in bocca che stava seduto oltre la soglia. Ripresosi dallo shock, il giovane spirito fece una gran risata, sbattendosi la mano sulla gamba; si avvicinó al cancello e fece cadere la catena con un gesto della mano.
“Non posso credere che tu sia tornato! Ti credevo morto amico peloso!” disse con un gran sorriso sul volto.
L’orso gli porse i fiori. “Ho un nome adesso: gli umani mi chiamano Tocco” disse allo spirito.
Lui lo guardó sbalordito “Sai parlare come noi! Come é possibile?”
Tocco fece spallucce, era diventato piuttosto bravo ad imitare i modi di fare umani. “E’ successo, forse anche grazie a voi. In ogni caso sono venuto per ringraziarvi di avermi salvato quella notte” detto ció, fece per togliere il disturbo.
“Aspetta amico! Fermati a chiacchierare con noi: ora che puoi capirci, potrai raccontarci come mai sei rotolato giú dalla montagna in quel modo e cosa ti é successo dopo. Sai” aggiunse con occhi malinconici “qui é raro poter parlare con qualcuno dei vivi, perció sarebbe bello se tu volessi diventare nostro amico”.
Tocco rifletté un attimo sulla proposta: essere amici é una cosa importante per gli umani, ma quasi impossibile per animali come gli orsi, vista la vita solitaria che fanno. Ma Tocco non aveva nulla in contrario nell’essere amico di quegli spiriti.
“Perché no. Di cose da raccontare ne ho parecchie” disse.
Lo spirito del giovanotto s’illuminó in volto “Meraviglioso! Ah, io mi chiamo Kasim, ma qui tutti mi chiamano Kas. Entra, sveglieró gli altri” si fece da parte per fare entrare l’orso.
Tocco entró e seguí Kasim lungo il vialetto circondato dai cipressi scuri, la pioggia insistente del giorno si era fermata, la notte era calata sulla montagna e sul cimitero, dove candele elettriche brillavano tremule, illuminando fiocamente solo le vecchie fotografie degli occupanti delle tombe. La pioggia aveva lavato i vialetti di pietra e le lapidi di marmo riflettevano la luce delle lampadine come specchi neri. L’odore di erba bagnata, terra e resina dolce e appiccicosa pizzicava il naso sensibile dell’orso. Kasim si diresse spedito verso la lapide in uno dei cubicoli ad alveare che abbondavano nel cimitero; si piazzó davanti alla lapide e bussó con la mano, ma senza veramente toccare la pietra.
“Signora Laura” fece Kasim “abbiamo visite”
Dopo una breve esitazione la figura della signora anziana che aveva salvato Tocco, apparve emergendo dalla pietra, prima come un’ombra, poi come un qualcosa di piú solido, ma sempre fatto d’aria. La donna era come l’orso la ricordava: anziana ma bella, con uno sguardo intelligente e il portamento elegante.
“Chi visita a quest’ora Kas?” chiese al giovanotto, ma poi si interruppe bruscamente vedendo l’orso al suo fianco. Si avvicinó a lui e Tocco si sedette sulle zampe posteriori per avere gli occhi all’altezza del viso della donna.
“Signora Laura, io mi chiamo Tocco e sono tornato a ringraziarla per avermi salvato” disse tutto d’un fiato.
La signora cambió subito espressione, facendosi severa “Incosciente che non sei altro! Come ti é venuto in mente di andare cosí dentro al paese! E ruzzolarti cosí dalla montagna poi!” disse, agitando un indice magro e storto sul naso dell’orso.
“Signora Laura!” esclamó Kasim.
“Non cominciare con ‘signora’ qui e lí Kasim! Quest’orso ha rischiato l’osso del collo per dei fichi! Fichi!” girandosi nuovamente verso orso “Tua madre non ti ha insegnato a stare lontano dagli umani piú che puoi?”
Tocco si fece piccolo piccolo, appiattendo le orecchie rotonde sul capo; tutto intorno, il cimitero si animava di nuove figure, risvegliate dalla voce alterata della signora Laura. La maggior parte degli spiriti che abitavano il cimitero erano anziani; Kasim era il piú giovane tra loro: tanti anni prima era arrivato su quelle montagne durante una terribile guerra, approdando dal mare da una terra lontana dove non era mai inverno. Purtroppo un’imboscata aveva sopreso lui e i suoi compagni nel bosco; la famiglia di Kasim era cosí lontana che gli abitanti del paese decisero di seppellirlo insieme ai loro cari, in ricordo di tutti i figli e i mariti che non erano riusciti a tornare a casa.
Tutti si stupirono del ritorno dell’orso: chi si avvicinava per guardarlo da vicino, chi per dargli anche una pacca sulla spalla. Gli spiriti non toccano mai veramente nulla del mondo che li circonda, se lo facessero, lo cambierebbero profondamente; ma Tocco riusciva a sentire il calore che emanavano quando gli si avvicinavano. Gli umani hanno sempre immaginato che spiriti e fantasmi fossero freddi, per via del fatto che la morte rende il corpo rigido e gelido; ma la materia di cui sono fatti gli spiriti é tiepida, come la brezza che accarezza la pelle in estate.
“Ecco il giovanotto! Sei sopravvissuto allora!” dicevano gli anziani intorno a lui.
Tocco era ancora intimidito dalla ramanzina che la signora Laura gli aveva fatto; lei rimaneva in silenzio, con le braccia incrociate e gli occhi fissi su di lui. In vita era stata una madre amorevole e terribile, come tutte le madri, e non poteva tollerare la scelleratezza, neanche di un giovane orso.
“Si puó sapere come mai parli adesso? Non é naturale” disse l’anziana.
Prima che orso potesse rispondere, Kasim si fece avanti per difenderlo “Questo penso di averlo capito io: é colpa vostra, signora”
“Mia? E come?” fece Laura, sgranando gli occhi chiari. In vita aveva sofferto di cateratta e aveva trascorso i suoi ultimi anni in una nebbia confusa. Adesso i suoi occhi non solo vedevano perfettamente, ma arrivavano piú lontano di qualunque altro essere vivente.
“Quando avete soccorso Tocco mentre era a terra, lo avete toccato, e cosí lui é cambiato” spiegó Kasim. Ci fu un brusio di sorpresa tra gli spiriti. “In effetti non credo che possa parlare davvero con gli umani, ma solo con gli spiriti come noi” aggiunse.
“É vero! Gli umani non mi capiscono quando cerco di parlare con loro, ma io li capisco” disse Tocco. “Ma voi come fate a sapere dei fichi?” chiese esitante.
Laura si raddrizzó, benché fosse una donna alquanto minuta, il suo carattere l’innalzava di parecchio.
“Quando i guardia-boschi ti hanno portato via moribondo, parlavano di uno scompiglio in paese. Allora ho fatto un salto da mio figlio a vedere cosa fosse successo e cosa trovo?” disse l’anziana con voce severa “Trovo il paese in subbuglio perché un orso si è quasi mangiato una coppia di innamorati seduti sotto il giardino di comare Bianca! Che parapiglia! Ai due quasi sono venuti i capelli bianchi per lo spavento e…Kasim, insomma! C’è poco da ridere!”
In effetti non solo Kasim, ma anche gli altri spiriti erano piegati in due dalle risate.
“Peró Etta devi ammettere che la vicenda é alquanto comica!” fece un anziano con il pizzetto.
“Giuro! Io non volevo mangiare nessuno! Ero lì solo per i fichi, ma quei due si sono accorti di me e per lo spavento mi sono quasi caduti addosso!” disse Tocco.
“Orso incosciente!” disse Laura dandogli uno scappellotto sull’orecchio “Certo che non volevi, ma prima o poi le cose sarebbero andate cosí! Si puó sapere come mai ti sei avventurato cosí vicino agli uomini per dei fichi?”
Tocco raccontó della sua vita solitaria da orso sulle montagne silenziose; raccontó di come sua madre e sua sorella fossero state portate via, cosa che Kasim chiamó ‘programma di ripopolamento degli orsi’. Raccontó di come vagasse per le montagne pacificamente in cerca di cibo, ma che in estate, con il brulicare di umani vacanzieri in tutto il territorio, non aveva molto spazio libero per cercare cibo in santa pace. L’estate era calda e secca, i ruscelli si prosciugavano e gli animali del bosco erano sempre piú in competizione per i pochi frutti e piante disponibili. Cosí l’orso aveva preso il coraggio di avvicinarsi sempre di piú ai paesini, per mangiare i frutti degli orti e rovistare nella spazzatura; gli umani sprecavano tanto di quel cibo che lui avrebbe potuto sopravvivere solo di scarti, se non fosse che il cibo umano non lo digeriva molto bene. Raccontó dello stratagemma dei fuochi d’artificio usati per avvicinarsi all’albero di fichi e di come avesse funzionato per un paio di anni, fino al doloroso incidente della notte dell’estate passata.
Gli spiriti degli anziani lo ascoltavano, a volte lo interrompevano per fare qualche domanda.
“Perció, se trovassi cibo a portata di mano, come dovrebbe essere, non ti avvicineresti piú agli umani?” chiese Kasim alla fine del racconto.
“Non ne avrei piú motivo” disse Tocco.
Gli spiriti si misero a discutere e parlottare tra di loro.
“Tonino, tuo figlio lavora nel Parco no? Non potresti fargli una visita e convincerlo a fare qualcosa?”
“E che cosa di preciso? E poi quello é uno scansafatiche, non mi ha mai dato retta in vita, figuriamoci adesso!”
“Potete parlare con gli umani?” chiese Tocco.
“Parlare é una parola grossa: a volte possiamo sussurrare dei suggerimenti nell’aria, a volte riusciamo ad entrare nei loro sogni e parlare come loro ci ricordano. Ma le loro menti sono piú che altro una gran confusione, quindi é difficile far arrivare i messaggi” spiegó Laura.
“Di solito i bambini sono i piú sensibili, ma non li contattiamo quasi mai, per paura di influenzare troppo le loro giovani menti” disse lo spirito chiamato Tonino.
Kasim si mise in piedi di scatto, battendo le mani disse “Ma certo! I bambini! In questo periodo ci sono delle scolaresche in gita nel parco: scout e altri gruppi vacanze, dormono nella vecchia scuola del paese. L’ultima volta che sono stato lá, gli insegnanti parlavano di un concorso di idee per migliorare il Parco e la vita degli animali che ci vivono, specie quella del nostro amico orso” il giovane camminava avanti e indietro mentre spiegava infervorato.
“Se riuscissimo a far arrivare l’idea giusta a tutti i ragazzi, gli adulti poi la metterebbero in atto!” concluse.
Spiriti e orso si guardarono in silenzio, trovando in ciascuno il barlume di una nuova speranza.
Il giorno della presentazione dei progetti dei ragazzi per il miglioramento del Parco, fu allestita una grande festa nella vecchia scuola del paese: tutti i paesani, il sindaco e gli insegnanti, anche quelli ormai anziani che nella scuola ci avevano insegnato davvero da giovani, facevano via vai per vedere l’esposizione creata dai ragazzi e portare cibo e bevande.
“É proprio una bella idea e neanche troppo dispendiosa da realizzare!” esclamó il sindaco del paese “ma come é stata scelta?”
“Una cosa a dir poco sorprendente! Molti dei ragazzi hanno descritto un’idea simile nei loro progetti! Perció la scelta finale é stata facile!” dessero gli insegnanti.
“La scelta é stata facile si!” disse Kasim, ridendo sotto i baffi.
“Oh fai piano tu!” disse Tonino.
“Ma perché? Tanto non ci possono sentire!”
“L’importante adesso, é che il sindaco mantenga la parola e realizzi il progetto!”
“Oh lo fará, se non vuole essere perseguitato dai fantasmi per il resto dei suoi giorni!” disse Kasim e i due spiriti svanirono dall’aula lasciandosi dietro un lieve eco di risate che si perse tra quelle dei ragazzi e dei bambini che festeggiavano.
Il sindaco e le autoritá del parco realizzarono il progetto dei ragazzi alla fine dell’estate. Una mattina in cui l’aria era ancora fresca, gli uomini del paese e i guardia-boschi guidarono un camioncino e una ruspa a valle, poco distante dal fiume. Lavoravano e sbuffavano per il caldo, sudavano e parlavano a voce molto alta per sovrastare il rumore della ruspa che scavava della terra brulla. Appena la macchina trovó il punto in cui la terra si faceva umida, si fermó; gli uomini continuarono a scavare con i badili fino a che non furono soddisfatti. Poi scaricarono il prezioso carico dal furgone: un giovane albero di fichi fu piantato nella terra smossa e le radici furono ricoperte accuratamente. Gli uomini fecero la stessa cosa a poca distanza per un albero di pere gialle e uno di prugne rosse.
I tre alberi ora crescevano a poca distanza uno dall’altro e il fiume, benché scarso in piena estate, provvedeva all’acqua che gli serviva per vivere.
Il piccolo paese solitario fu il primo del Parco a piantare degli alberi da frutto per sfamare il loro vicino orso: il pero portava i suoi frutti tutto l’anno, a parte in estate, quando il fico e il prugno invece provvedevano coi loro frutti fino all’inizio dell’autunno.
Altri paesi del Parco seguirono presto l’esempio virtuoso del primo, piantando altri alberi a portata di orso e di altri animali, cosí che un brutto incidente come quello del giorno dei fuochi d’artificio non potesse piú ripetersi. Il giovane orso Tocco, si faceva vedere ancora in lontananza nelle radure del parco, passeggiando e mangiando dagli alberi che erano stati piantati per lui.
A volte, gli umani vacanzieri che tornavano a far visita al piccolo cimitero dove riposavano i loro parenti e antenati, trovavano fiori di campo freschi nei vasi e strane impronte nella terra bruna, come se qualcuno, o qualcosa, portasse fiori mentre loro erano via.