Storie brevi

I racconti di Nana trottola

I jeans nuovi

La nostra casa era una casa di sole donne: la mia adorata nonna, mia madre ed io. Vivevamo al quarto piano di una palazzina di cemento che era stata costruita durante un periodo di grande benessere economico, quando mia madre insegnava all’universitá, e dove ho vissuto gli anni della mia infanzia. Crescendo, ero diventata una bambina vivace e cicciottella, con grandi occhi azzurri e un cestone di capelli biondi ribelli. Ovviamente, come la trottola del mio soprannome, correvo e saltavo di qua e di lá combinando sempre un sacco di guai.

Spesso era la mia adorata nonna a salvarmi da questi guai, nascondendoli alla mamma che era sempre pronta a disciplinarmi da vera donna di casa coi pantaloni. Ero pasticciona sí, ma c’era un’occasione in cui mi trasformavo: come il brutto anatroccolo si trasforma in cigno regale e argentato, cosí io mi trasformavo completamente quando andavo a lezione di musica. Le mie donne ci tenevano molto che studiassi bene tutte le materie, inclusa la musica: io non avevo scelto uno strumento musicale, avevo scelto me stessa. Il canto era la mia passione e quando ero a lezione di musica, sentivo che il mio corpo si trasformava nello strumento che suonavo con la mente e con il cuore. Solo allora la mia goffaggine svaniva e diventavo Nana cigno.

Mia madre e mia nonna erano molto orgogliose del mio talento e mi spronavano a studiare e fare sempre meglio con la mia testa e con la mia voce. Per premiarmi dei miei successi scolastici, quando potevano la mamma e la nonna mi portavano dei regali: erano sempre dei regali utili, ma anche belli, come un ombrellino viola che la mamma mi compró al mercato dove si era fermata dopo la lezione per fare compere. Mia madre non era solo brava a gestire una casa di sole donne, ma anche affettuosa e premurosa e lo dimostrava sempre con la cura con cui sceglieva i regali per la sua amata bambina. Non avevo mai visto un ombrello per bambini prima di allora, visto che tutti i bambini, me inclusa, usavano gli stessi ombrelli dei genitori. Perció il regalo della mamma mi sembró meraviglioso e unico.

Un giorno, quando avevo dodici anni, la nonna tornó a casa da una visita ai nostri cugini in una grandissima cittá lontana; tutta contenta, mi presentó un nuovo paio di jeans all’ultima moda con un lavaggio in tinta verde militare che mi fecero saltare di gioia. Era la prima volta che ricevevo dei jeans come quelli ed ero talmente felice che volli indossarli subito per uscire a farli vedere alle mie amiche. Mia nonna, che mi conosceva, mi guardó con un sopracciglio alzato: “Nana sei sicura? Perché non lasci che la nonna te li lavi? Oggi puoi mettere qualcos’altro…” Anche mia madre era entusiasta dei jeans nuovi, e avrebbe preferito che non li portassi subito fuori rischiando di sporcarli nella polvere della strada. “Meglio lasciarli intatti e puliti fino al prossimo giorno di scuola, che ne dici?” disse la mamma.

Figuriamoci! Nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea. Uscii di casa di corsa, come sempre, e mi precipitai dai miei amici per far vedere i jeans nuovi: tutti erano entusiasti, mi sentivo come una diva della TV. Uscimmo a giocare nel cortile dove c’erano tutti i garage: mentre giocavamo ad acchiapparella feci un salto giú da un muretto che fiancheggiava la rampa di discesa delle macchine.

Track! Mi pietrificai nella stessa posizione in cui ero atterrata, mentre il sangue abbandonava il mio viso lasciandomi pallida come un fantasma. Insieme ai miei amici verificammo che la cucitura della tasca posteriore dei jeans si era strappata, lasciandomi con una presa d’aria sul gluteo che non si addiceva affatto ad una ragazza. I miei compagni mi abbandonarono vigliaccamente davanti alla porta di casa, mentre mi preparavo a cercare di evitare la reazione della mia focosa mamma.

Entrai di soppiatto e strisciando con la schiena al muro mi diressi verso la mia camera. La mamma sedeva sul divano, con una montagna di fogli di esami da correggere; naturalmente mi vide e la mia faccia deve avermi tradita immediatamente. Aggrottó la fronte, guardandomi da dietro gli occhiali da professoressa: “Nana…cos’hai combinato?” Deglutii a stento e cercai di balbettare le mie scuse. La mamma balzó sú come una tigre: “Cos’hai fatto ai jeans! Fammi vedere!”

Ricordate quei vecchi film comici di Stanlio e Onlio o di Charlie Chaplin in cui il poliziotto insegue i furfanti in una sequenza infinita d’immagini in bianco e nero, con un sottofondo di pianoforte da saloon? Cosí m’immagino che la scena di mia madre che mi rincorreva intorno al tavolo della cucina e io che scappavo, deve essere apparsa a mia nonna la quale, ridendo di gusto fermó mia madre e mi salvó dalle sue grinfie feline.

La nonna mi rammendó i jeans e cucí sopra alla tasca una toppa in tinta verde a forma di foglia che mi piacque anche piú dell’originale. Riuscii a sfoggiare i miei jeans per un po’, fino a quando la mia stessa nonna, stirandoli, non si dimenticó il vecchio ferro troppo tempo su quella toppa. I jeans si bruciarono e il verde diventó marrone fango tanto che sembrava che me la fossi fatta sotto…

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