Uno scalpellino viveva con la sua famiglia in un piccolo paese tra le montagne ed il mare. Le montagne erano alte e ricche di marmo, che gli uomini estraevano da sempre e vendevano ai migliori artisti del mondo. Il loro marmo era bianco come la spuma del mare, con venature verde brillante, come le alghe che le donne usavano per intrecciare canestri.
Lo scalpellino aveva sempre sognato di diventare un grande artista, uno scultore famoso in tutto il mondo, ma non poteva permettersi di comprare il marmo che gli sarebbe servito, perché era troppo costoso. Peró essendo talentuoso e un grande lavoratore, si era costruito un laboratorio dove lavorava giorno e notte per la costruzione della nuova cattedrale di una cittá lontana. Il suo compito, come artista dotato e preciso, era quello di adornare i capitelli delle colonne che avrebbero sorretto la volta della chiesa.
Il suo sogno tuttavia, era quello di scolpire una statua meravigliosa, cosí verosimile che la gente l’avrebbe scambiata per una persona vera. Una scultura del genere avrebbe sicuramente permesso alla sua famiglia un futuro migliore della dura vita che facevano a quel tempo. Aveva sempre parlato delle sue aspirazioni a sua moglie e sua figlia: la prima, dopo anni, si era stufata di sentire il marito rifugiarsi in utopie irrealizzabili. Ma la figlia, una bella bimba cui piaceva aiutare il padre e che ammirava il suo lavoro, cresceva con le stesse speranze del padre adorato.
Una sera, dopo aver lavorato tutto il giorno, lo scalpellino rientró a casa, salutó sconsolato la moglie e la figlia che lo aspettavano per la cena e mangió la cena in silenzio. Moglie e figlia, vedendolo cosí abbattuto, cercarono di farsi dire in tutti i modi cosa lo turbasse, ma lui le respinse dicendo che era semplice stanchezza. In realtá quel giorno l’artigiano era venuto a sapere che la barca che trasportava i suoi lavori verso la grande cattedrale, era affondata: questo voleva dire che avrebbe dovuto ricominciare a lavorare e non avrebbe mai potuto coprire i costi del marmo che gli sarebbe servito, visto che il lavoro non gli era stato ancora pagato. Insomma, come avrebbe fatto a sfamare la sua famiglia con il lavoro della bottega?
Durante la notte, l’uomo non riuscí a dormire, pensando che avrebbe dovuto abbandonare la sua professione per cercare qualcosa che avrebbe permesso alla sua famiglia di tirare avanti; avrebbe potuto fare il pescatore per un poco, era un lavoro duro ma onesto. L’uomo conosceva molto bene il mestiere del pescatore: suo padre era stato pescatore e, prima di diventare scalpellino, anche lui aveva imparato il mestiere sulla barca di suo padre.
Quella notte, la figlioletta dello scalpellino andó a dormire anche lei preoccupata: il suo papá non era uno da farsi scoraggiare cosí facilmente, anche se il suo era un lavoro duro. La piccola chiuse gli occhi e pensó intensamente a come sarebbe stato bello se il sogno del suo papá, quello di realizzare una grande scultura, come i piú grandi artisti, fosse diventato realtá. Si addormentó cosí, pensando alla pietra, quella che sarebbe servita a suo padre per realizzare il suo sogno: una bella pietra bianca, con sottili vene verdi…
La bambina sognó: davanti a lei si ergevano due grandi montagne di marmo. Le due montagne erano meravigliose, eppure tristi, come se volessero avvicinarsi. La bambina provó a spingerle l’una verso l’altra: come fanno i bambini quando giocano con la sabbia sulla spiaggia. Ma le montagne erano immobili, come sono le montagne. Allora la bambina si guardó intorno e vide una corda rossa ai suoi piedi: “Perfetto!” pensó. Prese la corda rossa e la legó ad una delle cime, l’altra estremitá della corda, all’altra cima. Adesso, tra i due monti c’era un ponte rosso.
Con un grande frastuono, il sogno della bambina si interruppe, perché all’improvviso, una piccola valanga era scesa dalla cava e aveva travolto il laboratorio dello scalpellino. L’uomo, sua moglie ed i vicini, gli uni disperati e gli altri sbalorditi, si misero a lavorare per liberare quello che rimaneva del laboratorio dell’artigiano da terra e macerie. L’uomo e la moglie piangevano, lui sapendo che adesso avrebbe dovuto abbandonare il suo sogno per sempre, lei per la sfortuna che continuava ad abbattersi sulla sua vita. Alla fine della giornata mentre continuavano a raccogliere il salvabile e a rimuovere detriti, trovarono una roccia massiccia che spuntava tra le macerie: sembrava troppo imponente da spostare, cosí la lasciarono dov’era.
Lavorarono tre giorni interi per ripulire dai detriti; alla fine, al centro della cornice di mura che erano state del laboratorio, rimaneva un grosso pezzo di marmo, troppo pesante da spostare con leve e carri. Cosí decisero di provare a spostarlo attaccando delle corde a quattro buoi: per quanto gli uomini incitassero e gli animali sbuffassero, le corde si spezzarono ed il masso non si spostó. Allora provarono con delle catene, ma ancora una volta la roccia non volle saperne di spostarsi. Non c’era altro da fare se non farla a pezzi.
Lo scalpellino guardó il blocco di marmo e cominció a chiedersi se, in fin dei conti, non fosse del tutto una sfortuna per lui; quello che gli serviva era proprio del materiale per lavorare. Cosí ringrazió gli amici ed i vicini per il loro aiuto e disse che avrebbe pensato lui stesso alla pietra testarda.
La moglie dello scalpellino era convinta che il marito potesse fare a pezzi il masso coi suoi strumenti e rivenderne i pezzi ad altri artigiani, visto che, in fondo, lui non aveva piú un laboratorio. L’artigiano invece era convinto di poter rimediare alla perdita del suo lavoro finito in mare, lavorando come poteva, con pazienza e con gli strumenti che gli rimanevano. Quella sera, l’uomo si fermó a salutare la sua bambina prima di dormire. Le raccontó dei suoi progetti per la roccia rotolata dalla mantagna; la figlia lo ascoltó con occhi assonnati. Guardó suo padre e disse: “Papá, non sarebbe bello se finalmente realizzassi il tuo sogno di fare una scultura meravigliosa cosí che tutti possano ammirarla?”.
Il giorno dopo, l’uomo scese al porto del suo paese e prese reti, ceste, corde, sei aste e tre grandi tele da vela; con i soldi che gli restavano dei suoi risparmi, compró una barchetta da un anziano che non la usava piú. Tornó a casa, piantó i pali intorno al masso, con la corda assicuró le tele tutto intorno e cosí, a mo’ di tenda, coprí il masso creando un posto all’asciutto dove poter lavorare. Quando tornó a casa quella sera, raccontó tutto alla moglie e alla figlia; la moglie si arrabbió moltissimo: da scalpellino a pescatore, sempre con quel sogno per la testa, come avrebbero tirato avanti? L’uomo era convinto che fare il pescatore avrebbe mantenuto bene la famiglia, e nel frattempo lui avrebbe lavorato alla sua scultura. Quando questa fosse terminata, l’avrebbe venduta alla nuova cattedrale o ad un signore e avrebbero sicuramente guadagnato di piú che se avessero venduto la pietra in pezzi grezzi. Per quanto la moglie cercasse di convincere il marito, lui aveva preso la sua decisione.
Il giorno successivo, lo scalpellino si alzó prima dell’alba, scese al porto con le sue ceste e reti nuove e portó in mare la sua barchetta. Sapeva bene come governare la piccola barca; sapeva dove lasciare le reti nei punti della costa dove passavano piú pesci. Cosí dopo aver disteso le reti, si mise a pescare con una vecchia canna di suo padre, nell’attesa del mattino per tirare su la sua prima pesca. Il vento soffiava dall’orizzonte, i gabbiani garrivano tra le barche dei pescatori, aspettando con ansia il momento in cui le reti colme di pesci sarebbero state ritirate dalle profonditá. L’uomo aspettó che il sole fosse appena sopra l’orizzonte d’acqua per ritirare la sua rete, come suo padre gli aveva insegnato anni prima. Di pesci non ce n’erano in abbondanza, ma abbastanza per essere rivenduti ai pescivendoli al porto e fare qualche soldo. Mentre tirava la sua rete in barca, l’uomo vide un guizzo rosso tra i pesci: era un filo. L’uomo lo prese e tiró, ma il filo era lungo diverse spanne, sottile e resistente, eppure morbido come un filo cardato di lana; incuriosito, lo ripose in una delle ceste per portarlo a casa e mostrarlo alla sua famiglia.
Quando l’uomo arrivó a casa nel pomeriggio, portó i pochi soldi guadagnati con la prima pesca, due pesci da cucinare per sé ed il filo rosso. Appena sua moglie vide il filo, si lamentó della spazzatura che il marito aveva raccolto dal mare; lui le disse che il mare è generoso e che non bisogna rifiutare i suoi doni alla leggera. Visto che sua moglie non sapeva cosa farsene del filo, l’uomo lo lasció a sua figlia che ne fece una corda intrecciata e divenne uno dei suoi giochi preferiti.
Quella sera, benché stanco del lavoro della giornata, lo scalpellino pescatore, era ansioso di cominciare a lavorare la roccia testarda che lo aspettava per la sua scultura. Cosí prese i suoi strumenti e una candela e andó ad esaminare la pietra: era un masso di marmo bello e quasi levigato dalla caduta dalla montagna. L’uomo aveva sempre pensato che avrebbe scolpito l’immagine dell’Amore: una statua in forma umana che rappresentasse Amore. Negli anni aveva immaginato spesso la forma, il volto, la posa e cosí adesso, sollevó lo scalpello ed il martello e diede il primo colpo sulla grande pietra.
Forse per uno scherzo del destino, o forse semplicemente perché la pietra era davvero testarda, accadde qualcosa che lo scalpellino non si sarebbe mai aspettato; dopo tutto il suo colpo non era stato cosí violento. La roccia si crepó a metá, lentamente, come un fiume d’acqua che si fa strada in un deserto arido; poi con un rumore simile ad un sospiro, la roccia si spaccó e le due metá si adagiarono l’una poco distante dall’altra e giacquero immobili al suolo. L’uomo era sconvolto: due pezzi di marmo, non uno. Non avrebbe mai potuto realizzare una statua come aveva sempre sognato, cosa fare dunque? I blocchi erano pur sempre di dimensioni sufficienti per essere lavorati, dunque avrebbe potuto fare due sculture. Ma di cosa? Guardando perplesso le due rocce, l’uomo si disse che avrebbe pensato ad una soluzione il giorno seguente e andó a dormire.
Il giorno dopo, mentre suo padre era via a pesca, la bambina aiutó sua madre con le faccende di casa; poi sua madre ricevette visita da due vicine di casa e, per avere il tempo di chiacchierare in santa pace, mandó sua figlia a giocare fuori. La bambina prese il suo amato filo rosso e andó a saltare la corda fuori; poi fece finta di essere una principessa con una bellissima treccia rossa e, allo stesso tempo, un drago sputafuoco che inseguiva la povera principessa in una foresta. Come si possa essere due cose cosí diverse allo stesso tempo é facile: dovete solo ricordarvi che la fantasia é uno degli ingredienti migliori per giocare da soli. Mentre era intenta a giocare, la bambina entró nel nuovo laboratorio di fortuna che suo padre aveva tirato su intorno al marmo testardo. Quando vide che c’erano due rocce ora al posto di una, la bambina si ricordó del sogno che aveva fatto la notte prima della valanga; si avvicinó alle pietre e disse loro: “Ecco il vostro ponte, ma voi per favore aiutate papá a realizzare il suo sogno”. Cosí, legó un’estremità del filo ad una delle rocce e l’altra estremitá all’altra roccia.
Quando il padre tornó dalla giornata di pesca, la bambina gli corse incontro e lo trascinó davanti alle due rocce. Indicando il filo gli disse: “Papá adesso potrai scolpire delle cose meravigliose, come hai sempre voluto, peró devi sempre lasciare il filo rosso a legare le due parti”. L’uomo, colpito dalle parole di sua figlia, si rese conto che avrebbe potuto rappresentare Amore anche con due parti.
Durante tutto l’anno che seguí, l’uomo lavoró come pescatore durante il giorno e come scultore la sera. Il marmo, dopo la sua iniziale testardaggine, si fece docile sotto i suoi strumenti, come se tutto quello che servisse alla sua mano, fosse il pensiero di come doveva realizzarsi. E un filo rosso.
L’uomo realizzó due magnifiche figure a grandezza naturale due donne, distanti ma protese l’una verso l’altra: i loro sguardi si chiamavano, le loro mani si tendevano disperatamente per incontrarsi. Erano madre e figlia, separate da una distanza che sembrava insormontabile, non fosse stato per il filo rosso che le univa. Seguendo il suggerimento della sua bambina, l’uomo aveva scolpito dapprima lontano, poi intorno al filo. Cosí le forme erano emerse naturalmente dalla roccia, come se fossero sempre state prigioniere al suo interno. Il filo rosso partiva dalla mano sinistra della figura materna e si legava alla destra della figlia.
I vicini di casa, gli abitanti del paese e, a volte, dei viandanti, passavano ad ammirare il lavoro dell’artista. Sorpresi dal suo talento nascosto, avevano mormorato tanto della pietra testarda che non aveva voluto farsi spostare e che poi si era voluta dividere in due e farsi scolpire in due bellissime figure. La storia curiosa si faceva strada con la gente, di paese in cittá, di casa in reggia, fino a quando una duchessa non ne venne a conoscenza.
La duchessa era una donna dotata di una bellezza triste: da molto tempo ormai era rimasta vedova del suo amato marito. Anche sua figlia l’aveva lasciata: tutti in cittá conoscevano la storia d’amore tra la figlia della duchessa e il sarto di corte. I due si erano innamorati in quell’etá in cui tutto sembra possibile, ma ovviamente sapevano che la loro unine sarebbe stata inaccettabile per via delle loro famiglie: lei di famiglia nobile, lui di famiglia onesta, ma umile. Cosí, in gran segreto avevano organizzato una fuga nella notte in cui neanche la luna brilla nel cielo, per essere piú nascosti. La duchessa aveva fatto cercare in lungo e in largo sua figlia, ma invano. Erano passati cinque anni ormai dalla scomparsa della duchessina col suo amante, quando la duchessa venne a sapere della storia curiosa delle due statue scolpite con tanta fortuna e bravura da un semplice scalpellino.
La duchessa decise di andare di persona a visitare l’artigiano per vedere le statue. Mandó un messaggero dalla famiglia dello scalpellino, per informarli che la duchessa sarebbe venuta ad ammirare l’opera dell’artigiano. L’uomo e la sua famiglia erano agitatissimi alla prospettiva di ricevere una persona cosí importante come la duchessa.
Il giorno dell’arrivo della duchessa, tutto il paese era riunito a festa per accoglierla: i paesani avevano adornato le loro porte con fiori e drappi colorati, quelli che le donne avevano tenuto da parte dai loro corredi; tutti si erano lavati e vestiti a festa e i loro volti erano in attesa, in ammirazione per un personaggio importante che visitava il loro povero paese. La duchessa arrivó nella sua carrozza e vedendo tanta accoglienza e generositá da parte dei paesani, decise di scendere; si fece portare il suo cavallo preferito e proseguí a cavallo, salutando la folla. Arrivata davanti alla grande tenda che era il laboratorio dell’artigiano, la duchessa scese dal suo destriero e salutó la famiglia dello scalpellino, che si era riunita, anche loro vestiti a festa, moglie e figlia con fiori di campo ad adornare i capelli.
Non appena la duchessa entró nella tenda insieme alla famiglia dell’artigiano, tutti i presenti rimasero sbigottiti: ora che le vedevano insieme, la statua che rappresentava la madre somigliava come una goccia d’acqua alla duchessa. “Avete un grande talento ma la vostra mano é stata guidata dal destino” disse la duchessa, rompendo il silenzio sbalordito che era calato nella tenda. “Questa sono proprio io, afflitta nella mia solitudine e questa” aggiunse indicando la statua della giovane “é mia figlia come la ricordo quando, cinque anni fa, ha lasciato la nostra casa”. Dopo aver ascoltato la duchessa, l’uomo si inginocchió piangendo, dicendo che lui non poteva sapere nulla della storia della duchessina e del suo amante; il marmo aveva voluto scolpirsi cosí, sotto i suoi strumenti. La duchessa rassicuró l’uomo, e disse che avrebbe comprato la coppia di statue ad un prezzo degno di un grande artista. L’uomo e la sua famiglia piansero di gioia e gratitudine, e prepararono un carro per trasportare la coppia di statue fino al paese della duchessa. Infine, prima della sua partenza, la figlia dello scalpellino disse alla duchessa: “Mia signora, la vostra generositá sará premiata se ricorderete di tenere sempre le due statue unite dal filo rosso”. Incuriosita dalle parole della bambina, la duchessa le bació la fronte, salutó tutti i paesani e si mise in cammino verso casa.
Tornata nel suo palazzo, la duchessa fece disporre le due statue nella sala dove riceveva i suoi ospiti e teneva gli incontri con i paesani per ascoltare i loro appelli. Le statue attirarono per giorni molti curiosi che volevano ammirarle: la loro storia e la loro bellezza, il mistero del filo rosso, avevano creato una certa fama allo scultore ma anche alla duchessa.
I giorni passavano, i visitatori diminuivano e la duchessa tornó a dedicarsi all’amministrazione del paese e delle sue terre. Un giorno, durante le udienze con i suoi sudditi, una donna giovane e bella, con un bambino per mano si fece avanti: era vestita in modo semplice ma elegante, con i capelli raccolti e le mani sciupate dal lavoro. La donna si avvicinó e la duchessa la invitó a fare il suo appello. La donna disse: “Sono solo venuta per vedere la statua che cosí miracolosamente mi somiglia”. La duchessa e la corte erano sbalorditi: la duchessina era tornata a casa! La duchessa aveva desiderato tanto il ritorno della figlia, ma mai si sarebbe sognata che la fama delle statue avrebbe viaggiato fino a lei. Aveva anche pensato a cosa avrebbe fatto e detto se la figlia fosse tornata: all’inizio era rimasta molto arrabbiata e delusa che la figlia fosse scappata di casa; poi il tempo aveva trasformato la rabbia in tristezza e rimpianto per non aver capito la figlia. L’amore non si nega, per quanto due persone possano essere diverse, per quali leggi ne impediscano l’affetto, tutti hanno diritto di amare. La duchessa corse incontro a sua figlia e l’abbracció e bació, e le due donne piansero insieme mentre la corte gioiva con loro. La duchessa disse: “Bentornati a casa!”.
Fu cosí che la duchessa invitó sua figlia e la sua nuova famiglia a vivere insieme nel palazzo. Il marito della duchessina era diventato un importante mercante di stoffe durante i loro viaggi, cosí la sua famiglia aveva sempre fatto una buona vita; ma la duchessina si era presto rattristata di aver reciso i rapporti con sua madre. Quando la storia delle due statue era giunta alle sue orecchie, e di come la duchessa le avesse comprate per la sua casa, la giovane aveva convinto suo marito a tornare. Aveva capito che cosí come lei si era pentita di essere scappata, cosí la madre l’aveva perdonata, quando aveva voluto prendere le due statue che tanto somigliavano ad entrambe.
Per quanto riguarda lo scalpellino, ricevette una lettera dalla duchessa: lo ringraziava per aver fatto sì che sua figlia tornasse a casa e commissionava un altro lavoro per lui. L’uomo avrebbe dovuto scolpire un complesso che rappresentasse la famiglia ora felicemente riunita. Insieme alla commissione, la duchessa avrebbe pagato il marmo che sarebbe servito e avrebbe fatto ricostruire il laboratorio dell’artista.
Fu cosí che lo scalpellino diventó un vero scultore, la sua fama si sparse per il mondo e presto molte commissioni si aggiunsero a quella della duchessa; in poco tempo il laboratorio dello scultore si ingrandí. La famiglia dello scultore visse sempre nell’abbondanza e nella felicitá, ma senza mai dimenticare come tutto era iniziato: in umiltá, con una roccia testarda ed un magico filo rosso.