Storie brevi

L’airone di ferro e la Perla

C’era una bella piazza grande, piena di alberi verdi, siepi, giardini con altalene dove i bambini potevano giocare all’uscita di scuola. C’era un prato dove i cani potevano rincorrersi ed i loro padroni chiacchierare del tempo e della vita. C’erano tante panchine di legno, piuttosto scomode, dove anziani canuti ed i loro badanti si fermavano a riposare, far prendere aria ai loro visi raggrinziti e parlare a voce troppo alta, perché tra le grida dei bambini che giocavano, i cani che abbaiavano, ed il fatto che erano un po’ sordi, quello era l’unico volume di voce accettabile.

Al centro della piazza, c’era una fontana, piccola e senza pesci; era piuttosto romantica peró, con la scultura di un airone di ferro al centro, in cima ad una piccola roccia che emergeva dall’acqua. L’airone spruzzava un getto d’acqua dal becco rivolto verso il cielo, cosí che tra le grida dei bambini, il borbottio degli anziani e l’abbaiare dei cani, il rumore della fontana spariva leggero, come il brusio di un ruscello in lontananza.

All’airone di ferro non importava che la sua fontana fosse minuta, o che il suo spruzzo d’acqua fosse ignorato, lui era contento di stare al centro della piazza, da dove poteva osservare e ascoltare tutto quello che succedeva. Ora, come potete giá capire, l’airone era un gran curioso. Immaginatevi di essere una statua e di dover stare sempre fermi al vostro posto, in qualche modo dovrete pure passare il vostro tempo, no?

All’airone piacevano le mamme coi loro bambini giocosi: le vedeva radunarsi sulle panchine al limite dei giochi, chiacchierando di cucina, vestiti, suocere, mariti, di come i bambini crescevano e di quanto le facevano disperare i loro capricci. Ogni tanto una di loro alzava lo sguardo per controllare dove fosse il proprio pargolo e puntualmente abbinava lo sguardo al proverbiale richiamo: “Anna lascia giocare anche Giorgio! Daniele non tirare i sassi! Elisa non spingere!” e cosí via. A volte dei bambini si avvicinavano alla sua fontana per giocare a chi pescava piú alghe con dei lunghi rami sottili raccolti nel giardino. La ringhiera di ferro che proteggeva la fontana era sufficiente a non farci cadere dentro bambini e cani; ma i bambini, con la fantasia sfrenata dei loro giochi e i loro legnetti, non facevano tanto caso a quella barriera e pescavano beati le loro balene o polpi giganti immaginari.

All’airone non piacevano molto certi ragazzacci che si sedevano a volte sulle panchine, con la loro musica incomprensibilmente alta e i sacchetti scricchiolanti di patatine e lattine di bevande dai colori sgargianti. A volte anche loro giocavano, ma a tirarsi lattine e bottiglie vuote e a volte qualcosa finiva nella fontana. Cosí non si poteva fare altro che aspettare il netturbino che passava la mattina presto, quando la piazza era ancora quasi vuota, a raccogliere la spazzatura dei maleducati.

Friday era un brav’uomo, il netturbino. Arrivava da un paese lontano e si chiamava cosí perché l’impiegato dell’anagrafe nel suo paese aveva dovuto fare un compromesso: la mamma di Friday non aveva tempo di registrare il suo bambino appena era nato, né suo padre, visto che quando Friday era nato, lui era giá partito per un lungo viaggio verso un altro paese. Cosí c’era andata quando aveva potuto e la vera data del compleanno di Friday era rimasta un’incognita. L’impiegato dell’anagrafe aveva cosí stabilito che il bambino era nato un venerdí dell’anno prima, a giudicare dalla grandezza del bimbo; e poi a tutti piacciono gli anni che finiscono in numeri pari e Robinson Crusoe.

Alla mamma di Friday non importava nulla dei numeri pari, né sapeva chi fosse Robinson Crusoe: a lei bastava che suo figlio fosse registrato su un pezzo di carta, di modo che, quando fosse stato il momento, avrebbe potuto fare il passaporto e sarebbe potuto andare a cercare quel mascalzone di suo padre.

“E cosa avresti dovuto fare a tuo padre una volta trovato?” avevano chiesto i vecchietti delle panchine a Friday quando lui aveva raccontato la sua storia. Friday era alto, nerissimo, e con una risata esplosiva. Avrebbe dovuto prenderlo per le caviglie, scuotere tutti i soldi che aveva fatto in quegli anni e che la sua famiglia non aveva mai visto, e poi trascinarlo in aeroporto per le orecchie per rispedirlo a casa da Maman, dove lei avrebbe provveduto al resto. Tutti si erano fatti delle gran risate; l’airone di ferro aveva interrotto il suo spruzzo per un attimo per unirsi a loro, nessuno si era accorto di nulla. 

Friday suo padre lo aveva trovato, quasi subito dopo essere arrivato nel nuovo paese. Lo aveva trovato nel registro di un’altra anagrafe e in una lapide di un piccolo cimitero in riva al mare. Ecco dov’erano finiti tutti i soldi che non aveva mai mandato a casa. 

Cosí adesso Friday faceva il netturbino in quel paese che ormai stava diventando un pochino anche suo. Mandava qualche soldo a Maman tutti i mesi, andava a pregare il venerdí e aveva conosciuto un gruppo di ragazzi con cui giocava a pallacanestro, a volte anche nella piazza della fontana con l’airone di ferro. Viveva con altri 4 ragazzi in una casa piccola e vecchia, ma per loro era casa e ogni pranzo si riunivano, chi prima di andare a lavorare chi tornando, per mangiare tutti insieme e parlare. A volte uno di loro se ne andava: chi trovava una ragazza e andava a vivere con lei per dar vita ad una famiglia, chi invece cambiava cittá per un lavoro migliore; chi a volte, semplicemente, spariva. Allora Friday e gli altri si mettevano a cercarlo, chiedevano in giro dove potevano; alla polizia non era il caso di chiedere, visto che non tutti erano regolarmente registrati e si sarebbero messi a loro volta nei guai. Cosí non sempre riuscivano ad avere notizie del loro amico scomparso. Era una vita semplice, a volte crudele, ma Friday era felice di quello che aveva.

Questa parte della storia, Friday l’aveva raccontata una sera che era solo col suo carretto di netturbino e i suoi pensieri. E l’airone di ferro era un ottimo ascoltatore, del tipo con cui la gente amava confidarsi.

All’airone piacevano molto le coppie di innamorati che passeggiavano per la piazza e quelli che si fermavano sulle panchine scomode per scambiarsi dei baci. Si sentiva un po’ responsabile dell’atmosfera che doveva fare da sfondo alle coppie: cosí quando qualcuna si presentava, lui raddrizzava le membra scricchiolanti e faceva gorgogliare un bello spruzzo alto. Se le condizioni lo permettevano, indirizzava volentieri lo zampillo controluce, in modo da creare un sottile arcobaleno nell’aria. Insomma, creava una piccola magia per gl’innamorati, che se lo meritavano, diciamocelo. A volte, la magia dell’airone di ferro funzionava ed egli era felice nel vedere che alcune coppie tornavano spesso a passeggiare nella piazza e a sedersi sulle panchine scomode. In rari casi, le coppie erano tornate anche molto tempo dopo, portando i loro bambini a giocare nella piazza.

Una sera particolarmente tiepida di primavera, l’airone di ferro si preparava per dare riposo al suo guizzo: di notte infatti la fontana si spegneva, per risparmiare l’acqua e perché a nessuno che passava di notte per la piazza interessava la piccola fontana. Quando la fontanella si spegneva e la cittá infine si riposava dal rumore di macchine e bus pesanti come elefanti, finalmente si sentivano i rumori della notte. Se vi é mai capitato di camminare per le strade di una cittá di notte, sapete bene di cosa si tratta: un silenzio immobile, che fa venire voglia di fermarsi e cercare qualcosa che non sia silenzio. Oggigiorno non siamo piú abituati all’assenza di suoni e di rumori, perció ci stupiamo di quanto silenzioso possa essere un mondo che abbiamo percepito come sempre acceso. Tutto é silenzio, ombra e luce. Come un teatro subito prima che gli attori entrino in scena.

Nella piazza piena di alberi e giardinetti, il silenzio dava spazio al fruscio delle foglie, a qualche grillo che cantava la sua serenata, ad un barbagianni solitario o anche ad un usignolo cittadino. Ecco dunque che l’airone di ferro spegneva il suo getto, sgranchiva il lungo collo con uno gnack-gnack metallico e sospirava con un basso bruh arrugginito che aveva tutta la stanchezza e la soddisfazione del fine giornata. L’airone di ferro stava per assopirsi, quando ecco che il suo sguardo fu attirato dallo scintillio di qualcosa nell’acqua della fontana: l’airone guardó piú da vicino e vide che si trattava di una perla, piccola e bianca, adagiata sulla roccia dove lui poggiava le zampe.

“Ma guarda! E tu come sei finita quaggiú?” fece l’airone con voce gracchiante; non parlava da molto tempo.

“Mi sono sporta troppo da lassú e sono caduta…” fece di rimando la piccola perla, con una vocina da perla, alta e dolce.

In realtá l’airone non si aspettava una risposta, specie da un oggetto senza apparente bocca come una perla. La risposta della perla lo fece sussultare e quasi perse l’equilibrio dal suo piedistallo.

“Ma tu parli!” le disse.

“Certo che parlo! Non dovrei?” disse la perla, ugualmente sorpresa.

“Ma sei una perla!”

“Perché tu allora? Sei un airone di ferro, dovresti poter parlare quanto me!”

L’airone rifletté un momento e poi decise che la sua serata si era fatta di colpo molto interessante.

“Perdonami piccola perla, non volevo essere scortese” disse.

“Siete tutti molto scortesi da queste parti, una volta che vi si guarda da vicino” fece la perla ancora stizzita.

“Tutti chi?”

“Voi tutti di qui sotto”

“Sotto dove?” l’airone non sapeva ci fosse un sotto. Forse stavano costruendo un nuovo parcheggio sotto la sua piazza: il parcheggio era uno dei problemi piú grossi degli uomini.

“Sotto di me” disse la perla, poi continuó “comunque é raro trovare qualcuno che mi risponda quando parlo. Solitamente quando provo ad iniziare una conversazione tutti si spaventano e scappano, o si credono pazzi, o non rispondono perché non credono che possa parlare. Tu sei il primo dopo tanto tempo che non ha una reazione del genere”

“Allora devi essere stata molto sfortunata, piccola perla” disse l’airone “forse non hai trovato chi avesse orecchio per ascoltarti e cervello per risponderti”

“Credevo che la bocca fosse l’organo necessario per parlare quaggiú” disse la perla.

“Prima di tutto, tu in quanto perla non hai una bocca, eppure parli benissimo” rispose l’airone “e poi la bocca serve a tante cose, ma se non si ha un buon cervello a comandarla, non si puó certo dire di poter fare conversazione”.

La perla si concesse un attimo di silenzio, pensando alle parole dell’airone.

“Signora statua…” cominció con la sua vocina dolce,

“Airone, sono il Signor Airone. Ma tu puoi chiamarmi per nome” la interruppe lui.

“…Airone. Ebbene scusa se te lo chiedo, ma tu hai un cervello?”

L’airone di ferro buttó la testa indietro ed emise un suono gutturale che sapeva di aria nelle tubature; era la sua risata.

“In effetti non ho un vero e proprio cervello” disse “Ecco non sono sicuro di cosa ho” aggiunse, riflettendoci sú “Forse é tutta colpa di questo mondo troppo umanizzato in cui sono nato, se dopo anni mi esprimo con metafore che includono solo quelli che le persone chiamano ‘esseri viventi’. In realtá chi puó dire cosa é vivo e cosa non lo é? Insomma guarda noi due: tu sei una perla ed io una statua di metallo, per lo piú vuota. Ció non vuol dire che non sappiamo pensare, ascoltare, parlare…”

“Si, ma io sono una perla solo adesso, tu sei sempre stato una statua” precisó la perla.

“Oh?” fece l’airone “Vuoi dire che non sei sempre stata una perla? Beh certo, anche io non sono sempre stato una statua: prima ero una palla di cannone, prima ancora la parte di un calderone di un cuoco, prima ancora ero la piccola campana di una chiesa…”

“Aspetta aspetta!” fece la perla divertita “Una palla di cannone?”

“Giá”

“E com’è essere una palla di cannone?”

“Molto peggio che essere un calderone, ed essere un calderone é molto peggio che essere una campana…” sospiró l’airone.

“Oh” fece la piccola perla “Con ogni trasformazione sembra che ti sia andata sempre peggio…Quindi com’è essere una statua al centro di una piazza?”

L’airone di ferro si raddrizzó tutto “È la forma migliore che mi sia mai capitata!” esclamó orgoglioso. “Vedi, l’artigiano che mi fabbricó era un brav’uomo e ne aveva abbastanza di fare palle di cannone. Cosí quando venne il mio turno di essere rifuso e ristondato – sai succede dopo un paio di lanci di ammaccarsi in malo modo – mi mise da parte insieme ad altre e fece di me una statua. Un gran romantico di sicuro, come puoi vedere dallo stile delle mie forme e dalle linee decorative. Mi tenne con sé nella sua bottega finché non gli chiesero una statua per una nuova piazza da inaugurare dopo la guerra. E cosí eccomi qui”.

“Un pacifista quindi” disse la perla.

“Se cosí si puó dire” concordó l’airone “In tanti anni di servizio come fontana in questa piazza non mi sono mai annoiato”.

L’airone raccontó alla perla degli abitanti diurni della piazza giardino: i bambini, le mamme, gli anziani, i giovani, i passeggiatori coi cani, Friday, le coppie innamorate…L’airone non aveva mai parlato tanto in vita sua, neanche quando aveva fatto la campana, che pure ne ha di voce ma solo in momenti precisi del giorno. Ad un certo punto, l’airone si accorse di aver parlato in un lungo soliloquio e si sentí in colpa.

“Perdonami se sono stato noioso piccola perla, era tanto tempo che non raccontavo le mie storie, di solito sono io quello che ascolta gli altri” si scusó l’airone.

“Non sei affatto noioso” disse la perla “a me piace ascoltare e poi da quaggiú riesco a farlo molto meglio che da lassú”

“Guarda tu che ore abbiamo fatto!” esclamó l’airone, guardando l’orizzonte oltre le cime degli alberi che si schiariva. “Tra poco dovró riaccendere il mio spruzzo e allora non protremo piú conversare per un po’”.

“Beh almeno riposerai la tua voce…e io le mie orecchie” disse la perla.

“Quali orecchie?”

“Oh lascia perdere” rise la perla con una risata argentina da bambina.

“Se ti fa piacere peró, potremmo continuare a parlare domani sera. Io sono stato maleducato e ho parlato da solo, domani potresti raccontarmi di te. Sono molto curioso di sapere da dove vieni e perché parli e come sei finita nella mia fontana” disse l’airone.

“Perchè no, in fondo sono libera ancora per domani…” rifletté la perla “posso fermarmi e guardare e ascoltare tutte le cose e le persone che abitano la tua piazza di giorno. Non é una cosa che faccio spesso” aggiunse.

“Ascoltare?”

“Fermarmi per piú di un giorno in qualche posto”

“Allora sei una perla viaggiatrice! Avrai tante bellissime storie da raccontare!” disse felice l’airone di ferro.

“Piú o meno” fece la perla con modestia, mentre brillava alla luce del sole appena sorto.

“Allora benvenuta nella piazza” disse l’airone. E con questo si rimise in posa sulla sua pietra e riaccese il suo spruzzo, appena in tempo per accogliere un corridore mattutino.

Era un giorno di fine inverno incredibilmente caldo e il sole splendeva come se avesse giá voglia di portare la primavera. Dopo il primo corridore mattutino, ne passarono altri, con le loro divise sgargianti, cuffie alle orecchie e fiato corto. Poco dopo arrivarono anche i passeggiatori coi cani: un signore alto e un po’ ingobbito coi suoi bulldog inglesi, tarchiati e col respiro affannoso. Una signora con un golden retriever, una con un barboncino. Si conoscevano tutti ormai, i passeggiatori di cani: si salutavano, si fermavano a scambiare due chiacchiere.

“Ha visto che bella giornata che abbiamo? E che caldo che fa” fece la signora col barboncino a quello coi bulldog.

“Ho contato ben due postini ieri! Se continuano cosí, saremo invasi!”

“Per non parlare di questi gatti: sempre piú sfacciati. Pensate che quello nuovo della vicina si é fermato per piú di dieci minuti sul davanzale della nostra finestra!” si dicevano intanto il barboncino e la vecchia coppia di bulldog.

“Come si dice ultimamente, il cambiamento climatico…” disse il padrone dei due cani.

Piú tardi, cominciarono ad arrivare gli anziani delle panchine scomode. A differenza dei giovani, che di solito prediligevano l’ombra, loro preferivano il tepore del primo sole dell’anno. Come rettili raggrinziti che si scaldavano il sangue alla luce del mattino.

“Buongiorno signora mia” si salutavano. Poi si sistemavano seduti, chi con l’aiuto del bastone, chi con il braccio del badante.

“Signora Giovanna, io vado a fare la spesa. Non ci vorrá molto, poi vengo a prenderla prima di pranzo” fece la badante alla sua assistita.

“Prima di cosa?” gracchió Giovanna, che era molto sorda, soprattutto la mattina.

“Prima dell’ora di pranzo!” urló di rimando la badante. Si avvió verso il supermercato dopo aver sistemato meglio lo scialle di lana sulle spalle della vecchia.

“Non é brava Carmelita?” fece incoraggiante l’amica di Giovanna.

“No” fece Giovanna.

“Carmelita! Non é brava??” alzó il volume.

“Aah si si. Un tesoro. Pensate che suo figlio va giá alle elementari. Un gran birbone quello!” disse con un borbottio affettuoso Giovanna.

I suoi nipoti non li vedeva quasi mai: suo figlio viveva con la famiglia in una cittá lontana e lavoravano sempre. Ora che i nipoti andavano alle scuole medie, non avevano piú interesse ad andare a trovarla, come facevano quando erano piccoli tutti gli anni nelle vacanze e alle feste. Giovanna sentiva suo figlio al telefono tutti i giorni, ma anche lui aveva poco da dirle ormai. Era solitamente un “Mamma tutto bene? Le medicine le hai prese? Carmelita si comporta bene?”. Raramente gli passava uno dei nipoti che le snocciolava qualche frase di circostanza e poi ripassava di corsa il telefono a suo padre. Perció si era un po’ affezionata al bambino di Carmelita: una macchinetta di parole ininterrotta, che parlava della scuola, dei suoi amici, dei giochi, delle sue fantasie. Correva  e inciampava ovunque, sempre con le ginocchia sbucciate, che Giovanna gli copriva con le garze che aveva in casa, visto che ogni tanto le ginocchia sbucciate le aveva anche lei. “Non dirlo alla mamma! Vai vai!” e lo rimandava ai suoi giochi nel salone vuoto della sua casa, mentre Carmelita preparava la cena.

“Ecco Friday!” salutarono i vecchietti delle panchine.

Friday spingeva il suo carretto con un sorriso un po’ stanco. “Buongiorno a tutti. Avete visto che bella giornata?” fece con la sua voce bassa e gentile.

“Ma con una giornata cosí, tu perché hai quella faccia ragazzo? Lavorato tanto anche ieri?”

“Ma no, é solo che adesso mi tocca fare anche l’acchiappanimali…la ragazza che abita nella casa col giardino all’angolo della strada ha perso il gatto e mi ha chiesto di dare un’occhiata in giro” Friday sospiró.

“Sei sicuro che sia proprio per il gatto?” se la risero gli anziani.

Friday arrossí e sorridendo e scuotendo il capo batté in ritirata, augurando a tutti una buona giornata.

Quando il sole arrivó al centro del cielo, i bambini e i ragazzi uscirono da scuola, come tutti i giorni; come sempre, i bambini piú piccoli sciamarono verso i giochi, rinfrancati da succhi di frutta e schiacciatine che le mamme gli portavano prima di andare a casa. “Non ti allontanare troppo! Tra poco andiamo a casa!”. Ma loro erano giá immersi nei loro giochi, corse, spinte, urla. Quel giorno alcuni bambini giocavano a rincorrersi intorno alla fontana: erano in quattro, tre bambine e un bambino che era ancora molto piccolo e ancora un po’ insicuro nella corsa. Correva con piccoli passi saltellanti, le mani tese in avanti a cercare un appiglio nell’aria e il viso rosso per lo sforzo. Ogni tanto mandava un grido di richiamo a sua sorella, una delle bambine piú grandi, per attirare disperatamente l’attenzione sul fatto che stava rimanendo indietro. La sorella e le compagne di giochi erano piú grandi, piú agili e troppo intente nella loro missione per badare troppo al piccolo che cercava di stargli dietro. Improvvisamente, le bambine si staccarono dalla fontana e corsero verso le altalene nel giardino poco piú in lá, lasciando il fratellino piccolo definitivamente indietro. Questi viró macchinosamente per seguirle, ma nella foga della sua corsa, inciampó nei propri piedini e finí steso a terra. Ora, un caso del genere presenta due sviluppi ordinari: la tragedia o il miracolo. La tragedia nel caso in cui il bambino caduto si metta a strillare con tutta la potenza dei suoi piccoli polmoni, attirando l’attenzione di tutta la piazza finché sua madre o suo padre non lo tirino su, raccolgano la propria roba e i pargoli salutando gli altri in fretta, e battano in ritirata verso casa. Detta tragedia per via della tragicitá del pianto che segna la fine dei giochi sia del malcapitato, sia di fratelli e sorelle e delle chiacchiere dei genitori. Il miracolo invece, dicesi tale in quanto improbabile: il caso in cui il bambino caduto per terra non faccia una smorfia e si rialzi semplicemente da solo, senza che nessuno si debba preoccupare.

Questo, non fu nessuno dei due, dato che il bambino, cadendo, era stato semplicemente distratto da un brillio nell’acqua della fontana. Il bambino quindi, si rialzó quasi subito da terra e, dimentico della sorella e dei loro giochi, andó deciso verso la ringhiera della fontana. La perla bianca era lí, dentro l’acqua. Il bimbo la fissó intensamente, poi rise felice tra sé e sé, saltellando sul posto; cercó invano di sporgere il braccio attraverso la ringhiera, sbuffando e protendendosi.

“Oh no” disse la piccola perla in un sussurro percettibile solo all’airone di ferro “questo piccoletto é uno tosto! Non mollerá facilmente…”

In effetti il bimbo adesso si guardava intorno per trovare qualcosa di utile per aumentare la portata del suo piccolo braccio; l’unica cosa che aveva trovato era un ramo, che ora stava usando come una specie di canna da pesca per raggiungere la perla.

Quando neanche il ramo funzionó, il bambino cominció a piagnucolare; poi un’idea si accese nella sua mente birichina e corse verso le altalene dove ora giocavano sua sorella e gli amici. Tornó poco dopo, trascinando per mano sua sorella, che appariva molto contrariata di essere stata costretta lontano dai suoi giochi.

“Mirko che cosa vuoi? Se devi fare la pipí devi andare dietro un cespuglio, non al centro della piazza!” fece con la sua voce squillante.

Mirko scosse la testa ed indicó la perla nell’acqua della fontana “No pipí! Uuna! Uuna!”

Quando la sorella vide la perla, spalancó gli occhi e trattenne il fiato “Mirko! Hai trovato un tesoro! Dobbiamo prenderlo! Vado subito a chiamare Lidia e Marta!” Così dicendo corse di nuovo in cerca delle sue amiche.

Mirko rimase a guardare la sorella con le spalle alla fontana, e non si accorse dello sguardo preoccupato che l’airone di ferro gli mandava.

“Mi metteranno nei guai…” fece piano la piccola perla “non posso finire nelle mani di nessuno! Ti prego amico Airone, fa qualcosa!”

L’airone era paralizzato, non riusciva a pensare e fare il suo spruzzo di fontana allo stesso tempo, “A meno che…” pensó l’airone.

Mirko era ancora girato quando si sentí schizzare acqua fredda sul sederino, cosí forte che il getto lo mandó di nuovo per terra. Stavolta il miracolo non sí ripeté e Mirko scoppió in un pianto frustrato e disperato che, ovviamente, attiró l’attenzione della sua mamma; lei arrivó di corsa ad accertarsi dello stato del piccolo. Lo tiró in piedi e capí subito che non si era fatto male; peró la chiazza di bagnato sui pantaloni parlava chiaro: Mirko se l’era fatta addosso. Urgeva un cambio, il che significava dover tornare a casa subito. Cosí la mamma chiamó a gran voce sua figlia, portandosi Mirko in braccio fino al passeggino; la figlia era piú che mai contrariata col fratellino. “Te lo avevo detto di andare dietro i cespugli!” rimproveró il povero Mirko. I tre salutarono genitori e bambini della piazza e si avviarono verso casa, finalmente. L’airone di ferro fece gorgogliare in alto il suo spruzzo, ignorando lo sguardo di odio che il piccolo Mirko gli mandava dall’abbraccio di sua madre.

“Grazie amico mio” sussurró la piccolo perla alla statua.

L’airone fece gorgogliare il suo spruzzo tutto orgoglioso per aver salvato con successo la sua nuova amica.

Con una giornata di fine inverno come quella, la piazza rimaneva sempre piena dei suoi frequentatori, in un andirivieni di etá, colori, culture e passatempi dei piú vari. A volte si vedevano anche rari lettori, di libri veri, fatti di carta, non i sempre piú numerosi occhi fissi sullo schermo del telefono. Altre volte si potevano incontrare artisti di vario genere: giovani con un quaderno degli schizzi che dovevano portare a termine un progetto accademico, o amatori con altri quaderni, a volte anche cavalletti, che ritraevano la piazza, la gente, i piccioni, la fontana dell’airone di ferro. Certi venivano per alcuni giorni di fila, a completare il lavoro quando la luce era piú adatta, o quando il posto era piú o meno affollato a seconda della loro capacitá di concentrazione o del soggetto. Non é da tutti infatti arrivare in quella bolla magica di meditazione in cui ci si perde in un’attivitá, senza essere distratti da ció che ci circonda. All’airone piacevano molto i lettori ed i pittori, anche se non sapeva cosa stavano leggendo o ritraendo: persone che emanavano un’aria di tranquillitá e assortimento nel loro lavoro. Ogni tanto si poteva scorgere il cambiamento sui loro volti: forse era il grande amore ritrovato nel romanzo che stava leggendo una ragazza, o una macchia di china inaspettata che faceva aggrottare la fronte al signore col basco, loro erano lí, nella loro bolla, nel loro bellissimo mondo.

Il giorno volgeva ormai al termine, le chiome degli alberi della piazza, che cominciavano ad adornarsi di piccole foglie verdi incoraggiate dal sole inaspettato, si coloravano di rame e oro, mentre il sole scendeva dietro i palazzi che la circondavano. Alcuni ragazzi tardavano a rincasare: dopo il freddo invernale che li aveva costretti a noiosi pomeriggi chiusi in casa, approfittavano piú che potevano della bella giornata. Al tramonto, i passeggiatori di cani si ritrovavano nuovamente, cosí come alcuni corridori in tute sgargianti. E poi, cominciavano ad arrivare le coppie.

Il tramonto é il momento piú romantico per passare qualche ora in una bella piazza a sussurrarsi all’orecchio e scambiarsi i primi baci, tutti lo sanno. Quella sera c’erano tre coppie nella piazza: due sedute sulle panchine scomode e una che passeggiava lentamente. L’airone di ferro, che era ormai esperto nel creare atmosfera per le coppie, si fece tutto splendente controluce e riuscí persino a catturare un ultimo arcobaleno di colori attraverso il suo spruzzo. Le coppie si trattennero a sospirare fino a quando il sole non fu sparito del tutto dietro l’orizzonte e le luci della piazza non si accesero con un sibilo assonnato, elettrico. Poi la piazza si fece deserta e l’airone di ferro spense il suo guizzo.

“Che giornata!” disse la piccola perla bianca dal piedistallo sotto le zampe dell’airone di ferro “me la sono vista brutta con il piccolo Mirko! Grazie per essere intervenuto”

“Ovviamente! Non potevo permettere che rischiassi di essere portata via, non ora che ho l’occasione di avere un’amica…né che un bambino o piú cadessero nella fontana” rispose l’airone.

La piccola perla rise “Sarebbe stato davvero un grosso problema per me se dei bambini mi avessero presa…Sembra che tu ti faccia carico di una bella responsabilitá per questa piazza”

“Le prime giornate di sole sono sempre le piú belle” rispose l’airone “tanta gente che mette il naso fuori di casa per godersi la piazza e io ne sono al centro, non posso riposare finché tutti non hanno goduto dell’atmosfera” disse l’airone con orgoglio.

“E ti preoccupi persino che dei discoli di bambini non finiscano nella tua fontana” fece la perla 

“Sarebbe un vero disastro! Prima di tutto potrebbero farsi del male” spiegó l’airone “e poi sicuramente gli umani deciderebbero di chiudere la mia fontana, ritenendola troppo pericolosa, se una cosa del genere accadesse”

“Ma certo, sicuramente farebbero una cosa del genere. E dimmi: non ti stanchi mai di essere al centro di tutto? Di essere sempre sotto gli occhi di persone e animali?”

L’airone rise della sua risata di tubi gorgoglianti “Dopo essere stato sparato innumerevoli volte come palla di cannone, rimestato di vivande come pentolone e picchiato ogni ora come campana, direi che essere semplicemente al centro di una piazza non mi dispiace”

La perla sospiró “Tu dici cosí perché sei giovane, ma se dovessi rimanere al centro di questa piazza per anni e anni fino a quando ne perdessi il conto, conoscendo tutti gli angoli e i rami degli alberi e vedendo la gente andare e venire. I vecchietti delle panchine sparire, i bambini crescere, le coppie sposarsi o lasciarsi…”

L’airone guardó la piccola perla e vide che brillava di una luce blu, bella e malinconica, senza tempo.

“Ma questo é un cerchio che non posso in alcun modo influenzare” rispose la statua “peró, é un pensiero di eternitá che non mi spaventa. Forse perché, come dici tu, io sono giovane e ho cambiato forma molte volte. Forse questa non sará neanche l’ultima”

“É per questo che voi quaggiú non vi rendete conto di quanto siate fortunati! Non vi fermate mai, cambiate in continuazione la vostra essenza e cosí scampate a quel circolo vizioso che é l’eternitá. No, meglio, ne fate sempre parte, ma mutevoli…” rifletteva la perla con la sua vocina bella e inquieta.

“Ma anche tu sei mutevole piccola perla” disse l’airone di ferro.

“No, io sono eterna” fece la perla, rabbuiandosi “Per questo sono venuta qui, per scappare per un poco da quel cerchio inesorabile che mi trascina”

L’airone di ferro ristette, cercando di cogliere tutto il significato delle parole della perla; stava per risponderle quando una giovane coppia apparve nella piazza.

Era raro che le coppie venissero cosí tardi nella piazza; solitamente se ne andavano a passeggio nel centro della cittá, lungo il fiume o sedevano in piccoli caffé. La piazza, benché romantica di notte, non era il posto piú comune dove sedersi la sera, probabilmente per via della quiete o della luce fioca. La coppia in questione era curiosamente composta: lui era alto e coi capelli neri raccolti in una coda di cavallo, lei minuta, con grandi occhiali rotondi sul naso e capelli corti biondi. Si tenevano a breve distanza l’uno dall’altra, ridendo e scherzando, tanto che non si capiva se erano amici o amanti. Si sistemarono su una delle panchine di legno di fronte alla fontana dell’airone di ferro e lei si tolse le scarpe, incrociando le gambe sotto il lungo vestito.

“Quindi questo sarebbe il tuo posto preferito in cittá?” chiese lui, quardandosi intorno.

“Hai detto che volevi vedere il mio posto preferito, beh eccolo qui” rispose lei, allargando le braccia sulla piazza.

“E perché é il tuo preferito?”

Lei sospiró “Perché é stata la prima piazza che ho attraversato quando sono venuta a vivere qui, e mi é sembrata bellissima: piena di gente, cani, verde, con la fontana…”

“Quindi ci porti tutti i ragazzi che vuoi conquistare?” scherzó lui.

L’airone pensó che non era una cosa carina da dire, anche se la ragazza era bella, e avrebbe benissimo potuto conquistare tutti i cuori che avesse desiderato.

Lei sembró pensarla allo stesso modo dell’airone, visto che parve spiazzata dalla battuta di lui per un attimo. Poi rispose “No, tu sei il primo a cui ho fatto vedere questo posto. E  anche l’unico che mi abbia chiesto qual’é il mio posto preferito in cittá. Quindi ecco qui” rispose in modo un po’ ironico, un po’ pratico.

Lui cambió tono immediatamente “Allora ne sono onorato”.

Lei si fece inquieta, sentendo la serietá nella voce di lui “Sei strano” disse scuotendo la testa.

Lui rise “Si, l’hai capito ora?”

“No, l’avevo intuito, ma ancora non riesco a capire quando scherzi e quando sei serio”

“Il problema é che sono sempre serio!” fece lui, sempre ridendo, con la sua risata esplosiva che riempiva la piazza vuota.

Lei lo guardó da dietro le sue lenti “Davvero? Bene a sapersi…”

“Non andranno da nessuna parte cosí” fece la piccola perla all’airone.

Lui si limitó a guardarla di sottecchi.

“Tranquillo, gli umani sono sordi a ció che non vogliono sentire” disse la perla “non ci sentiranno”.

“Per mille fornaci!” esclamó l’airone “Non sapevo che non potessero sentirmi, tutto questo tempo!”

La perla rise, con una risata argentina che fece dondolare le fronde degli alberi intorno “Solo alcuni possono sentire le voci segrete degli oggetti e degli spiriti e noi possiamo farci sentire solo se vogliamo” spiegó.

“Ma é meraviglioso!” disse l’airone di ferro.

“Prendi il piccolo Mirko per esempio: lui poteva sentirmi benissimo, infatti mi aveva riconosciuta subito il piccolo briccone…” spiegó la perla.

“Adesso capisco! Quindi i bambini possono sentirci”

“No, non tutti i bambini. Solo quelli che ci vedono per ció che siamo veramente. Alcuni adulti persino; sono nati con una sensibilitá che gli consente di riconoscere le anime. Non ti consiglio di parlare troppo peró” avvertí lei “gli umani sono…difficili. Non credono facilmente in sé stessi e ai loro sensi. Come ti dicevo ieri, molti con cui ho cercato di parlare non hanno reagito molto bene. Cosí ho smesso”

“Mmh mmh. Certo, non sono creature che si fidano facilmente” acconsentí l’airone di ferro.

“Ancor meno di ció che non capiscono…” disse la piccola perla “E poi sono cosí ottusi nel dimostrare i propri sentimenti” aggiunse balenando di sarcasmo.

“Giá é possibile” fece la statua.

“Ne sono sicura. Prendi questi due per esempio: si vede da lontano che si piacciono, ma hanno una paura matta di avvicinarsi, di fidarsi” spiegó la perla.

“Beh lui é un tantino goffo nei suoi modi, ne ho visti di migliori” ammise l’airone “Eppure la fa sorridere”.

“Sono uguali” fece la perla.

“In che senso?”

“Sono due anime poetiche che stentano a rivelarsi. Hanno paura di essere giudicati. Hanno paura di essere abbandonati, come é giá successo ad entrambi”

Osservarono per un po’ la coppia in silenzio. Erano cosí concentrati nella loro conversazione che non si erano accorti che la distanza tra di loro era diminuita considerevolmente, ma entrambi si mantenevano in disparte nel proprio guscio di sentimenti.

“Certo é un peccato che non possa contribuire per l’atmosfera…” disse l’airone “la fontana si spegne non appena cala il sole e io non posso accedere all’acqua da solo”.

“Peccato. Comunque ci vorrebbe qualcosa di piú dellala tua fontana per far funzionare le cose stasera…” disse la perla.

“Che cosa proporresti?”

“Oh tante cose: innanzitutto dovrebbe fare un pochino piú freddo di cosí, quel tanto che basta per farli stare piú vicini” disse la perla. Mentre parlava, una leggera brezza si alzó dal nulla, fresca e leggera, scompigliando i capelli della ragazza.

“Come hai fatto?” chiese l’airone stupito.

“Oh nulla di che, solo secoli di esperienza nell’influenzare il tempo…” fece la perla con falsa modestia.

Prima che l’airone potesse chiedere altro, proseguí “Visto? Sta giá funzionando”.

In effetti, il ragazzo si stava offrendo di dare la sua giacca alla ragazza e di stare piú vicini per scaldarsi.

“Grande grosso e cosí timido…” disse la perla che non era ancora soddisfatta “Ci vorrebbe ancora qualcosa. I nostri amici usignoli, con una bella canzone, non guasterebbero” Cosí due usignoli si misero a canticchiare dai due estremi della piazza.

“Sono sbalordito!” disse l’airone di ferro. Dopo una piccola pausa riprese, esitante “sicuramente c’é molto piú in una piccola perla di quanto risalti all’occhio…”.

“Amico mio, andando per il sottile non otterrai molto. Anzi, finirai come questi due” fece la perla divertita. “Peró ti ringrazio del complimento”.

Per quanto il vento sussurrasse tra gli alberi e gli usignoli cantassero, i due non si decidevano a suggellare il loro incontro, né ad andarsene.

“Sembra che ne avranno per un po’” disse l’airone di ferro.

“Beh sembra che non abbia scelta” sbuffó la perla “avrei tanto voluto trattenermi a parlare con te Airone, e poi in questa piazza si sta cosí bene, é piena di persone interessanti…Mi toccherá tornare al lavoro per rimediare alla storia di questi due. Dopo tutto é parte del mio lavoro, occuparmi della nascita di un amore”.

“Sembra che tu abbia una grossa responsabilitá” disse l’airone.

“E non hai ancora visto niente!” disse la perla.

“Qualunque sia il peso, tu devi portarlo. É la tua essenza: come la mia é quella di essere fontana di questa piazza. La tua magia é davvero straordinaria, al confronto i miei tentativi di far avvicinare le coppie della piazza sono nulla…”

“Non é affatto vero! É raro trovare un oggetto come te che si faccia carico dei sentimenti degli umani” disse la perla “Sono rimasti in pochi ad avere la tua magia e la tua poesia quaggiú”.

L’airone si raddrizzó orgoglioso “Non é niente!”

“Devo andare” disse la perla.

“Piccola perla é stato un piacere conoscerti, sappi che potrai tornare quando vorrai nella piazza” disse la statua di ferro.

“Grazie Airone! Devo ancora raccontarti dei tanti viaggi che ho fatto e poi” rise la perla “sarai sorpreso di vedere che in realtá ci conosciamo da molto tempo”

“Davvero?” disse l’airone.

“Ho visto la piazza ancor prima che ci fossi tu al centro, prima che fosse piazza…”

“Questa sarebbe davvero una storia interessante” fece lui.

“Devo peró chiederti un ultimo favore” disse la perla.

“Qualsiasi cosa”

“Potresti darmi una spinta?”

“Prego?”

“Una gran spinta verso l’alto…da sola non credo di riuscire a tornare al mio posto. Stavolta mi sono trovata un po’ troppo bene quaggiú” fece la piccola perla.

“Devo lanciarti? Ma…cosa penseranno loro due?” rispose la statua, preoccupandosi dei due ragazzi sulla panchina proprio di fronte a loro.

“Mmh hai ragione…” disse la perla “che situazione…ci vorrebbe un diversivo, ma da qui non posso fare molto altro o rovinerei il lavoro fatto fino ad ora!”

D’un tratto, un gatto spuntó dai cespugli del giardino della casa all’angolo della piazza: un bel gatto bianco, con gli occhi gialli e lo sguardo furbo. Attraversó la strada e si diresse spedito verso l’altro lato della piazza. I due ragazzi sulla panchina lo notarono subito: i gatti bianchi non hanno molta fortuna, visto che a qualsiasi ora del giorno e della notte vengono subito notati. Specie in una notte senza luna come quella.

“Piccolo! Vieni qui micio! Che bello che sei…” fece la biondina sulla panchina.

“Deve essere il gatto che Friday doveva ritrovare per quella ragazza…” cominció l’airone.

“Perfetto! Ci siamo, stai pronto amico mio, che colpo di fortuna!” disse la piccola perla.

“Cosa?”

“Il diversivo! Il gatto! Non appena sará vicino alla panchina tu potrai lanciarmi prima che i due se ne accorgano!” fece in fretta la perla.

“Ah si certo! Sono pronto!” si riprese l’airone.

Quando il gatto bianco fu vicino alla panchina, la perla gridó “Adesso amico mio!”

Con uno scatto che non si aspettava neanche lui di poter fare, l’airone di ferro abbassó il lungo collo, afferró nel becco la perla bianca e la lanció in aria. Gli sembró che il suo corpo di metallo fosse leggero, quando in realtá un tremendo cigolio era risuonato per tutta la piazza, facendo scappare il gatto bianco e sobbalzare i due ragazzi sulla panchina.

“Hai sentito?” fece lei.

“Si” rispose lui, ancora guardandosi intorno “Non ti sembra che quell’airone fosse in una posa diversa prima?”

“Guarda! Hai visto che é venuta a salutarci?” esclamó la ragazza, indicando tra due alberi alti la sfera bianca e luminosa che adesso si stagliava netta nel cielo nero.

“La luna si rivela da dietro il manto della notte” disse lui.

“Il manto della notte eh?” disse la ragazza sorridendo.

“Si. Ma tu sei piú bella” disse lui, chinandosi a baciarla.

Rimasero cosí, uniti sulla panchina per lungo tempo, finché infine lei disse “É cosí tardi…dovrei andare a casa”

“Posso accompagnarti?” chiese lui.

“Si per favore”

“Hai visto amica mia?” fece l’airone di ferro alla luna “ce l’abbiamo fatta”.

La luna brilló orgogliosa dalla sua cornice nel cielo, salutando il suo nuovo amico.

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